mercoledì 29 gennaio 2014
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Illmitz esiste davvero. È un villaggio al confine tra Austria e Ungheria, un avamposto proiettato nella puszta. Susanna Tamaro ci arrivò all’inizio degli anni Ottanta, guidata dalla passione per l’ornitologia. Aveva con sé una scorta di quaderni («Con la riga doppia, da prima elementare») e su quelli cominciò a scrivere. «Mi era esploso qualcosa dentro – spiega – o più semplicemente ero riuscita a riconciliarmi con le mie radici nordiche, mitteleuropee». Nacque così il lungo racconto in prima persona che esce solo ora da Bompiani (Illmitz, pagine 102, euro 15), a vent’anni esatti dalla pubblicazione di Va’ dove ti porta il cuore: un anniversario che Susanna Tamaro ha deciso di celebrare anche registrando di persona l’audiolibro del suo best seller, in uscita da Emons il 12 febbraio (euro 14,90). «Se penso alle critiche che mi arrivarono allora…», commenta.A che cosa si riferisce?«Mi accusavano di sentimentalismo, di aver confezionato un sottoprodotto per il pubblico femminile. Ma io cercavo di analizzare i sentimenti, non di sfruttarli, cercavo riportare alla luce un versante dell’esperienza umana rimosso da decenni di ideologia. Oggi mi guardo intorno in libreria, vedo un diluvio di sentimentalismo e nessuno, a quanto pare, trova nulla da ridire. Ormai siamo al consumo dei sentimenti, senza alcuno sforzo di riflessione o di rielaborazione del dato emotivo. E gli autori di maggior successo sono tutti di sesso maschile, altro che predominio delle donne».Anche l’io narrante di «Illmitz» è un uomo.«Sì, ma in quella scelta non c’era nessun calcolo. Avevo bisogno di una controfigura per mettere una distanza fra me e il mio dolore, per esprimere il sentimento di estraneità che mi opprimeva in quel periodo. Nel libro quasi non c’è trama, tutto avviene nella mente di questo ragazzo che va lontano, in un paesone dai tetti di paglia, per passare del tempo in solitudine, passando come un clandestino nelle vite degli altri».Non è un libro consolatorio.«Per niente, ma è quello che dovevo scrivere allora. Vede, il personaggio che più mi assomiglia è Agnese, la sorella del protagonista. Una bambina piena di inquietudini metafisiche, una mistica di spirito scientifico, proprio come ero io da piccola. Ma per me, a un certo punto, questo stupore per le meraviglie della natura era diventato intollerabile. E Agnese, infatti, esce subito di scena, investita da un’automobile».Però c’è Cecilia, la ragazza che il narratore ama.«Sì, e questa è un’eccezione, perché nei miei libri solitamente non ci sono grandi storie d’amore. Diciamo che qui si tratta di una salvezza possibile, per quanto provvisoria. Se si legge con attenzione, si capisce che il protagonista non sta cercando un’amante, ma una madre. L’assenza di una madre lascia un vuoto impossibile da colmare, come ho raccontato in Ogni angelo è tremendo».È un caso che «Illmitz» esca a un anno di distanza dalla sua autobiografia?«No, non è un caso. Pubblicarlo prima non avrebbe avuto senso. Segna la conclusione di un ciclo, del quale però contiene già tutti gli elementi. Io stessa mi sono stupita a rileggerlo a distanza di tempo. Non riuscivo a convincermi che fosse stato scritto da una ragazza di 23, 24 anni. E che quella ragazza fossi io».Ha lavorato sul testo? Lo ha rivisto, corretto?«Sarebbe stato inutile. Il libro esce così com’era trent’anni fa, come lo lesse Claudio Magris la prima volta. Non che io avessi grandi contatti nel mondo letterario, ma mia nonna, a Trieste, era maestra e conosceva la madre di Magris, maestra a sua volta. Fu così che il manoscritto arrivò a lui, che lo apprezzò molto e lo presentò a diversi editori. Einaudi, Adelphi, Rizzoli. A qualcuno piacque, ad altri no. Non fu pubblicato da nessuno».Come mai?«Credo che la spiegazione migliore sia quella che mi diede Alberto Moravia: tu devi andare in Germania, mi disse, non sei adatta per l’Italia. Erano i primi anni Ottanta, ripeto, da noi la narrativa aveva tutta un’altra intonazione, più leggera, svagata. Io, per di più, appartenevo alla cultura triestina, che ha sempre rappresentato un corpo estraneo rispetto alla tradizione italiana. Anche adesso, del resto, Illmitz sembra un libro venuto da un altro mondo, nel quale la solitudine può ancora essere perfetta. Niente connessione, niente cellulari, perfino una telefonata a casa diventa un’avventura. Molto è cambiato, in questi anni».È cambiata anche lei?«Di libro in libro ho cercato di far risuscitare la bambina che ero stata e mi pare di esserci riuscita, alla fine. Adesso mi sento libera di passare ad altro, di lasciarmi alle spalle il dolore e la cupezza. Finora mi sono misurata con il male di vivere, e non è stato facile. Esplorare il mistero del bene può essere ancora più complicato, ma è quello che voglio fare».Come pensa di iniziare?«Scrivendo per i bambini. È come entrare nella realtà passando da una porticina nascosta, nel tentativo di superare il clima di distrazione di cui siamo vittime. Non sarà semplice, però è quello che va fatto oggi: il sentimento è un luogo di profondità e di ombra, da scoprire nell’infanzia e da custodire per tutta la vita».
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