sabato 30 luglio 2011
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«Avvenire» festeggia un compleanno. Il 1 agosto del 1996 compariva su questo giornale la rubrica "Lupus in pagina" di Rosso Malpelo alias Gianni Gennari, mini rassegna quotidiana della disinformazione religiosa che sulla carta stampata è come il prezzemolo.Gennari, quanti pezzi hai scritto in tutto questo tempo?«Facendo un po’ di conti, credo sui 4500. Di pause ne ho fatte pochissime».Pensavi che saresti rimasto legato così a lungo alla tua rubrica?«Quando iniziai mi telefonò Vittorio Messori: "Vediamo se duri una settimana"». Effettivamente, il nome Rosso Malpelo non prometteva affetto e riconoscenza.«Ho sempre avuto simpatia per questo personaggio del Verga. Riuscii a parlarne anche nel tema dell’esame di maturità, che pure era sulla tragedia greca».Perché hai firmato per anni solo con lo pseudonimo? «Perché mi fu chiesto, dicendomi che mi sarei fatto un nemico al giorno. Me ne feci anche tre o quattro. Ho avuto qualche problema anche all’interno del mondo cattolico. Per la cronaca, fu Dario Di Vico sul "Corriere della Sera" a scoprire l’identità di Rosso Malpelo».Che problemi hai avuto nel "mondo cattolico"?«Essendo una rubrica di tipo apologetico, coloro che pensano che l’apologetica sia superata, che di fronte a chi accusa la Chiesa o offende la fede sia opportuno non reagire, mi hanno guardato storto. Vecchi compagni di strada mi hanno dato del traditore. Alcune collaborazioni importanti a riviste cattoliche sono saltate, senza che ovviamente nessuno mi dicesse che ciò era legato a quello che scrivevo su "Avvenire". Sono venuti meno anche inviti a organismi importanti, come il Sae, il Segreteriato di attività ecumeniche, di cui ero stato uno degli animatori».Negli anni 70 eri noto come "prete del dissenso", magari non si aspettavano di vederti come censore su "Avvenire".«Mi sono sempre offeso quando mi hanno dato del prete del dissenso, se per dissenso si intende la contestazione della dottrina. La mia battaglia è sempre stata per difendere la dottrina, ma accettando una diversificazione di posizioni su aspetti storici o di disciplina. Me lo riconosceva anche padre Virginio Rotondi: in teologia dogmatica sei da 10, diceva, in disciplina sei spesso da 0».Quante querele hai ricevuto?«Nessuna. Solo una volta i Radicali me l’hanno promessa, poi non l’hanno fatta».Se incontri per strada Piergiorgio Odifreddi cosa gli dici?«Con Odifreddi ho polemizzato tanto su "Avvenire", però ci siamo conosciuti e abbiamo un rapporto cordiale, pur nell’assoluta divergenza di idee».E se incontri Corrado Augias?«Ecco, in Augias c’è un’ideologia così pesantemente e furbescamente non solo antireligiosa ma proprio anticristiana, che è difficile non pensare ci sia della mala fede, visto che l’uomo non è disinformato. Sono stato in trasmissione da lui un giorno e gli ho citato un articolo in cui parlava di ogni religione come una congerie di superstizioni puerili per le masse. Diceva di non averlo mai scritto. Gli ho tirato fuori il ritaglio di "Repubblica"».Quando hai iniziato a fare il giornalista?«Nel 1977. Avevo perso quattro cattedre universitarie a Roma: tre alla Lateranense e una al Marianum. Fu Sergio Zavoli che mi chiamò in Rai per collaborare con un grande vaticanista, Gregorio Donato. Feci diverse cose, poi nel ’79 Giovanni Minoli, che veniva a Messa da me qualche volta, mi chiese se volevo dargli una mano per una trasmissione che stava mettendo in piedi. E così per 11 anni ho scritto i testi delle interviste di Mixer. Ho preparato circa 350 faccia a faccia di Minoli, da Agnelli a Ratzinger. Ho da parte 6000 cartelle scritte a mano o a macchina. Quando Bruno Giordano finì in prigione e fu intervistato per Mixer, scrissi a Minoli per suggerirgli di mettere sullo schermo una doppia inquadratura, con una di profilo, come nelle foto segnaletiche della polizia. È rimasto il segno distintivo dei faccia a faccia di Mixer. Nel ’90 Minoli non ce la faceva ad assumermi e sono andato a lavorare al Tg3, sempre come precario».Un cattolico a Telekabul.«Sono stato precario dal ’77 al’94, poi ho fatto causa e in quattro mesi mi hanno assunto, perché era tale la mole di lavoro che avevo alle spalle che la Rai non poteva fare altrimenti. Sandro Curzi, che è stato un grande giornalista ma anche un uomo di partito e di lottizzazione come pochi, mi diceva: "Sei bravo, ma come faccio ad assumerti? I democristiani dicono che sei comunista, i comunisti che sei cattolico, i socialisti che sei catto-comunista. E in Vaticano che sei spretato"».Dimmi un tic della stampa laica sulla Chiesa.«Quello di parlare benissimo del Papa morto per parlare malissimo del Papa vivo. Mi ricorda quello che avviene nei regimi dittatoriali, ma in modo rovesciato: lì si parla male del tiranno morto per poter celebrare quello vivo».A parte "Avvenire", che progetti hai per il futuro?«Ho diversi libri in preparazione, tra cui uno di memorie. E vorrei lavorare ancora su quello che resta il mio amore di studioso e il riferimento della mia vita spirituale: santa Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa».
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