domenica 29 agosto 2010
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Dice di lui Martin Scorsese: «Viene da una tradizione che gli permette di fondere una grande immaginazione con l’attenzione per i dettagli d’epoca, che fanno da commento al tema del film». Non poteva esserci miglior definizione del genio di Dante Ferretti, lo scenografo due volte Premio Oscar, che sarà ospite al Festival di Venezia, il 10 settembre, per la proiezione in anteprima mondiale del docu-film «Dante Ferretti: production designer» di Gianfranco Giagni, che racconta la sua prestigiosa carriera e per ricevere, insieme alla moglie Francesca Lo Schiavo, il Premio Pietro Bianchi da parte dei giornalisti cinematografici. In questi giorni Ferretti è a Parigi per girare con Scorsese "Hugo Cabret", il loro primo film in 3D.Maestro, il lavoro dello scenografo nei film in 3D è sempre lo stesso o c’è bisogno di qualcosa in più?Non cambia nulla. È più o meno la stessa cosa, dipende dalla riprese. Diciamo che c’è una maggiore attenzione ai dettagli. Nel tridimensionale lo spettatore si sente più coinvolto nelle scene e i particolari non gli sfuggono.Com’è lavorare con Scorsese?Beh, Martin è uno dei più grandi registi del mondo. Ci conosciamo da oltre 30 anni. Mi ha fatto attraversare l’Oceano, mi ha introdotto a Hollywood. Con lui ho ottenuto grandi soddisfazioni. Al Lido verrà presentato il film su di lei. Come vivrà questo momento?Io di solito sto dietro le quinte, dall’altra parte della cinepresa. Stavolta no....Sarà un’emozione. Quale testimonianza lo ha colpito di più tra le tante raccolte nel documentario?Tutte! Ma mi sono emozionato sentendo quella di Leonardo DiCaprio con il quale ho lavorato solo in tre film. Mi ha fatto molto piacere quello che ha detto, perchénon me lo aspettavo…Secondo DiCaprio lei è «lo scenografo più emblematico e rappresentativo della sua epoca, il migliore che ci sia mai stato».Mi ha sopravvalutato…Il produttore Harry Weinstein, invece, l’ha paragonato a Michelangelo?Mi ha sottovalutato… No, scherzo. Io faccio esattamente il contrario di quello che faceva Michelangelo. Lui toglieva il superfluo dal blocco di marmo dove c’era già l’opera d’arte, io invece il superfluo ce lo metto. È il mio mestiere. E devo stare attento, non a caso si dice di un film, «è troppo scenografico»…C’è un regista, tra i tanti con cui lei ha lavorato, che ricorda con più affetto?Pier Paolo Pasolini mi ha fatto debuttare come scenografo con Medea, nel 1970. Con lui avevo fatto anche l’aiuto scenografo in tre film. Poi mi ha chiamato altre volte. Non eravamo amici, sul set ci davamo del lei ma ho sempre avuto una grandissima stima professionale di lui.E Federico Fellini?Con Federico c’era un rapporto quasi da…vitelloni. Con lui mi divertivo come un matto, anche se mi chiedeva molto, sul lavoro. Mi chiamava a qualsiasi ora del giorno e della notte, anche la domenica mattina….Io qualche volta mi inventavo cose che sapevo gli avrebbero fatto piacere…  Maestro, lei viene dalla provincia. È nato in una piccola città ed è diventato famoso in tutto il mondo. Come ha cominciato, quali sono state le molle che lo hanno spinto a diventare un grande scenografo?A Macerata, da ragazzo, vedevo le cose con uno sguardo curioso. Ho deciso a 13 anni di fare lo scenografo per il cinema. Mio padre era falegname e io frequentavo l’Istituto d’Arte. Andavo spesso a casa di uno scultore, Umberto Peschi, vissuto per anni a Roma, dove era stato allievo di Enrico Prampolini. Peschi mi affascinava, volevo vedere come lavorava. Un giorno mi chiese: «E tu, cosa vuoi fare da grande?». «A me piace il cinema», risposi. Ma non capivo bene cosa volessi fare. Mi piacevano i film «peplum», i western americani, con gli indiani. Fu Peschi a tirare fuori la mia vocazione: «Tu vuoi fare lo scenografo!». Lo leggevo sempre nei titoli di coda dei film ma non sapevo cosa volesse dire. Dissi a mio padre: «Voglio fare lo scenografo per il cinema». Ma a scuola andavo male, ero sempre stato rimandato a ottobre in sei materie! Allora lui mi fece una promessa: «Quando sarai promosso a giugno ne riparleremo» . Così accadde che all’esame di maturità fui promosso con bei voti ma risultai il primo della classe. Papà, uomo d’onore, mi mandò a Roma a studiare. Ottenni due borse di studio e facevo il disegnatore per mantenermi. A 18 anni feci l’aiuto scenografo di Aldo Tomassini Barbarossa. Poi, nel 1962, lavorai con Domenico Paolella in due film girati ad Ancona, "Le prigioniere dell’isola del diavolo", e "Il giustiziere dei mari". Pensai: ecco, me ne sono andato da Macerata per fare carriera e mi ritrovo di nuovo nelle Marche…Tomassini Barbarossa, in seguito mi presentò a Luigi Schiaccianoce, il miglior scenografo di Cinecittà. Con lui lavorai ne "La parmigiana" e "Il Vangelo secondo Matteo". Poi, collaborando a "Satyricon", conobbi Fellini. Lei ha fede? Sì. Sono credente. Influisce questo nella sua creatività? Certo. Ma non so dirle come. So di essere aiutato da Dio in quello che faccio. Lo dico e lo penso sempre. Prego così.
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