martedì 20 aprile 2010
Per il nuovo capo dell’organizzazione Onu per la cultura, la bulgara Irina Bokova, «noi siamo la libera casa dello spirito».
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«Con la globalizzazione, assistiamo purtroppo per diverse ragioni a molti più conflitti e incomprensioni. Ciò è paradossale, ma è legato a specifici pericoli e paure. In questo mondo globalizzato, la gente si sente sola. Il ruolo dell’Unesco si colloca qui, ma personalmente non ho mai creduto che ciò rappresenti la base delle relazioni umane». Dallo scorso novembre la diplomatica bulgara Irina Bokova – che è stata preferita all’egiziano Farouk Hosni, contestato per certe prese di posizione considerate antisemite – è divenuta la prima donna della storia a prendere il timone dell’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, ovvero l’agenzia internazionale basata a Parigi che nacque sulle ceneri della Seconda guerra mondiale per «elevare le difese della pace nella mente degli uomini». Farà parte della nuova squadra ai vertici dell’organizzazione anche l’italiano Francesco Bandarin, nominato nei giorni scorsi vicedirettore generale incaricato della cultura.Una volta eletta, il fatto di essere una donna l’ha aiutata in un’organizzazione impegnata anche a promuovere le pari opportunità?«Le sfide restano le stesse, ma credo che vi siano state molte più aspettative per il fatto che io sia una donna. Fin dai primi giorni, ascoltando i commenti che mi circondavano, ho visto queste aspettative crescere come in un’asta. Ho presto detto, certo con un sorriso, di essere per l’uguaglianza e ho dunque chiesto di essere trattata come un uomo».Nel mondo arabo e non solo i programmi sull’educazione sessuale sono accusati di non tener conto delle tradizioni culturali locali. L’Unesco ricerca sempre un approccio universale?«In questo campo lavoriamo ad esempio sulla prevenzione dell’Aids. Per noi, è chiaro che non può esistere un approccio unilaterale. Per trasmettere un messaggio, occorre adattarsi nelle diverse circostanze. Ciò che conta è riuscire a consegnare questo messaggio. Ma è anche chiaro che le mentalità, le abitudini, le tradizioni non cambieranno da un giorno all’altro».Agli albori, l’Unesco era presentata come il "cervello" delle Nazioni Unite. Questa definizione resta attuale?«Sì e no. L’Unesco mantiene un’autorità morale e intellettuale che personalmente ho la volontà di conservare. Al contempo, in un mondo così dinamico e mutevole, non possiamo limitarci solo a questo ruolo. Dobbiamo accompagnare i governi sul campo e ciò spiega gli sforzi già fatti per decentralizzare le nostre strutture. Nonostante risorse molto modeste, almeno rispetto ai nostri obiettivi ambiziosi, anch’io continuo a riflettere su come potremo adattarci al meglio, trovando crescenti sinergie con le altre agenzie dell’Onu». Si è parlato in passato di un mandato dell’Unesco troppo largo rispetto alle risorse economiche a disposizione. Condivide?«È vero che non siamo come le altre agenzie, concentrate in un solo campo. Ma avere quattro o cinque specializzazioni diventa oggi per noi un vantaggio. Si pensi a un problema come quello del cambiamento climatico e a tutti gli ambiti che esso coinvolge. L’Unesco può affrontare la questione sotto diversi angoli, occupandosi di gestione dell’acqua, di biodiversità, di questioni oceanografiche, di patrimonio mondiale naturale dell’umanità. Il 2010 è stato proclamato Anno internazionale della biodiversità e, al contempo, per il riavvicinamento delle culture. In proposito, siamo i soli a poter evidenziare il ponte fra la biodiversità e diversità culturale. I soli a poter convincere la comunità internazionale su questo legame molto intimo fra esseri umani e natura. Preservare un determinato patrimonio naturale coincide spesso proprio con la difesa delle popolazioni locali e del loro approccio culturale. È vero che non siamo ancora i veri motori di quest’approccio interdisciplianare. Ma proporrò un finanziamento specifico per rafforzarlo».Fra i nuovi progetti dell’Unesco, suscita attenzione anche la Biblioteca digitale universale. Una priorità?«Per noi è un progetto molto importante. A partire dalla cooperazione con la Biblioteca del Congresso di Washington, trentatré grandi istituzioni hanno già aderito. Abbiamo creato un sito internet in sette lingue, compreso il portoghese. Permette di accedere a ricchi contenuti in modo libero e aperto. Una ventina di nuove biblioteche stanno attendendo di aderire e a questo punto, data l’ampiezza della rete coinvolta, siamo convinti che il progetto è maturo per conoscere nuove tappe ancora più ambiziose».Nel 1980, trent’anni fa, Giovanni Paolo II tenne un discorso molto seguito davanti all’assemblea generale dell’Unesco. Cosa pensa della prospettiva che un pontefice o un altro importante rappresentante religioso possa di nuovo esprimersi all’Unesco?«Accoglieremo con piacere. Siamo una casa libera e siamo una casa dello spirito. Circa ogni mese, e in occasione in particolare della nostra conferenza generale, riceviamo capi di Stato, di governo, leader di diverso orizzonte che si pronunciano. Saremo sempre interessati».Lei ha tenuto ad affermare la sua opposizione alla teoria dello scontro delle civiltà. Perché?«Non l’ho mai condivisa, forse anche per la mia storia personale. Provengo da un Paese che è molto eterogeneo. Siamo situati fra Est e Ovest, fra Nord e Sud. La mia famiglia proviene da una cittadina dove l’ottante per cento della popolazione era musulmana. Ho vissuto in quest’atmosfera. Ricordo bene che per Pasqua offrivamo delle uova ai nostri vicini. Ed erano poi gli altri a offrire al momento del Ramadan. Era così ed era del tutto naturale».
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