mercoledì 21 febbraio 2018
L’intelligenza artificiale, qualunque sia la sua potenza, si espande in maniera orizzontale ma non può tentare il salto verticale della creatività. Il caso del robot Fabio a Edimburgo
Ecco perché un robot non potrà mai essere come l'uomo
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L’idolatrata e famigerata "AI" o intelligenza artificiale non sarà mai superiore a quella umana. L’errore nel confronto tra le due intelligenze è il medesimo che si fa nel paragonare il talento tecnico con quello artistico. Non sono due categorie comparabili sullo stesso piano.

È scritto nella storia che all’uomo servono chimere su cui vagheggiare. Nell’epoca contemporanea, complice un infantilismo da videogame che accompagna la maggior parte dell’umanità dalla culla alla tomba, come lo stato sociale svedese, i miti e gli obiettivi sembrano essersi concentrati nella visione utopica e intimamente desiderata del sopravvento delle macchine sull’uomo. Ma dove il discorso si fa scientifico e rigoroso dal punto di vista filosofico umanistico, una serie di punti mi sembrano costantemente ignorati.

Il principale di questi è una sorta di peccato originale. La confusione tra due tipi di intelligenza che esistono su piani diversi. Tutte le peculiarità (sostanzialmente produttive) dell’intelligenza artificiale rappresentano niente altro che un piccolo settore, meramente funzionale, di quella umana. Ciò che porta l’essere umano a essere un incidente unico nell’intero universo, è la sua capacità di sfuggire al meccanicismo. Ovvero creare costantemente sorprese rispetto alla applicazione dei vari congegni razionali a disposizione. Queste sorprese sono il dono dell’uomo all’uomo. A volte velenoso, a volte salvifico. L’intelligenza artificiale non porta doni. Può al massimo provare a gestirli.

Quando è apparsa la fotografia si diceva che avrebbe ucciso la pittura. L’errore era simile. La fotografia è stata preziosa per la pittura, perché ha chiarito ciò che la pittura non è. Ha identificato meglio il suo problema linguistico, stimolandola a indirizzarsi verso il suo compito specifico cui non può assolvere alcuna altra categoria delle attività umane. Così l’intelligenza artificiale. Tutto quello che farà sarà mostrare qual è la punta dell’iceberg, il distillato neuronale che differenzia inequivocabilmente e fatalmente l’essere umano dalla macchina. In questo poi ci saranno, come nella pittura, coloro che andranno alla rincorsa dell’intelligenza artificiale, in grado di portare a livello esponenziale le capacità di catalogazione delle nozioni, senza sostanzialmente creare sorprese che non siano prevedibili da un qualche algoritmo, fissato in ogni caso dall’uomo.

La macchina elabora disegni in base alla descrizione linguistica. "Capacità di astrazione", si dice. No. Nessuna capacità di astrazione. Capacità di elaborare meccanicamente dati matematici a un livello così complesso da farli assomigliare alla mirabile scossetta elettrica che attraversa in un niente le sinapsi di un cervello di uomo. Somiglianza banalmente epidermica, non di sostanza.

L’intelligenza artificiale, qualunque sia la sua potenza di calcolo, non potrà mai fare il salto di categoria. È la intelligenza del servo. Si espande in maniera orizzontale ma non può per definizione tentare il salto verticale. Avevo già scritto sull’intelligenza "topografica". Quella dei topi da laboratorio. L’intelligenza artificiale potrà diventare un topo enorme, che risolve labirinti impensabili, ma mai avrà la tentazione di guardare oltre il muro del labirinto per bypassarlo. Strumento.

In piccolo devono averlo intuito a Edimburgo, dove Fabio, robot addetto all’accoglienza in un supermercato, ha tentato di diventare surroga dell’umano che interagisce con l’avventore di turno in maniera friendly, per sollecitarne le emozioni che in qualche modo possono generare curiosità e vendita. Esperimento fallito. L’empatia del robot Fabio naufraga dopo i primi secondi, puntualmente.

In fondo anche nella perversa fantasia autodistruttiva e un po’ patetica del sogno di essere superato e soppiantato dalle macchine, l’uomo dimostra che è capace di immaginare l’impensabile, di creare incidenti alla logica che per quanto devastanti sono comunque sorpresa. Sorpresa che il robottino di Edimburgo non potrà mai dare.

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