domenica 17 gennaio 2010
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Il segno di infinito ha una duplice risonanza. Combina l’attrattiva mistica dell’ignoto e dell’inconoscibile in tutta la sua vastità con la fredda precisione della matematica e con il desiderio di descrivere l’inimmaginabile. Il nastro a forma di otto sdraiato sul fianco è un simbolo le cui origini si perdono nella notte dei tempi, un’ombra dell’antico uroboro, il serpente che si morde la coda.Questo segno è entrato nella tradizione cristiana fin dai primi secoli con la misteriosa croce di san Bonifacio, ma il suo ingresso nell’universo simbolico della matematica non si verificò che nel 1655, per merito del matematico di Oxford John Wallis. Wallis era un autorevole matematico - professore saviliano di geometria all’Università di Oxford per più di cinquant’anni - e un famoso inventore e decifratore di codici. Durante il periodo della guerra civile inglese (1642-51) il partito parlamentare di Oliver Cromwell scelse l’avvocato John Thurloe per l’incarico di responsabile del servizio di spionaggio, e questi creò una temuta rete informativa che copriva l’intero paese e controllava la posta, e quindi la popolazione.Naturalmente le attività di Thurloe richiedevano dei codici per mantenere sicure le sue comunicazioni e capacità di decifrazione per rendere totalmente insicure le comunicazioni degli altri. A questo scopo Thurloe reclutò Wallis, il più autorevole matematico d’Inghilterra, perché svolgesse queste mansioni segrete per conto delle Teste rotonde. Wallis fu crittografo capo del partito parlamentare dal 1643 in avanti, e, a quanto pare, fu così efficiente che, quando Carlo II salì al trono alla fine dell’Interregno, ne assicurò i servigi ai realisti.Naturalmente i legami tra codici e matematica oggi sono ovvi, e i servizi di sicurezza nazionali dei Paesi di tutto il mondo sono gremiti di teorici dei numeri. La National security agency degli Stati Uniti ospita la più vasta comunità di matematici al mondo.Wallis scrisse poco sui principi generali della crittografia, perché pensava che meno gli altri ne sapevano, meglio era, ma considerava l’uso di simboli matematici equivalente alla creazione di un codice. La soluzione delle equazioni era un atto di decifrazione: la decrittazione dei segreti di Dio. Si ritiene che Wallis abbia creato il suo simbolo dell’infinito,8, modificando il segno ?|? usato a volte dai Romani, in luogo di M, per indicare 1000.Ben presto il simbolo fu ampiamente utilizzato dai matematici di tutta Europa, ma in modo piuttosto casuale. Comprensibilmente, l’infinito non considerato alla stessa stregua delle altre grandezze. L’idea filosofica dominante, di derivazione aristotelica, e generalmente accettata in tutto il continente fino alla metà del XIX secolo, era che gli infiniti attuali non esistono, né nell’universo fisico né in matematica. Il segno di infinito era soltanto un’abbreviazione - una specie di versione matematica dell’'eccetera' - per indicare che una successione di numeri continuava senza fine, in un’infinità 'potenziale'. L’elenco di tutti i numeri positivi 1, 2, 3, 4, 5… e così via senza fine è l’archetipo dell’infinito potenziale.L’universo non ha dimensioni finite, si ha allora un infinito potenziale tipo fisico: non si potrebbe mai raggiungere quell’infinito con un’astronave più di quanto si possa contare fino all’infinito: in realtà una vita umana non basterebbe neppure per contare fino a un miliardo. Questa negazione degli infiniti attuali ben si conciliava con la sintesi medioevale delle idee di Aristotele e con la dottrina cristiana. L’infinito era il dominio esclusivo di Dio. Nulla di creato poteva confrontarsi con lui su questo terreno.
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