giovedì 5 dicembre 2019
L’8 dicembre 1869 Pio IX apriva il Vaticano I: il Concilio che, in pieno conflitto fra Chiesa e modernità, stabilì il dogma che rafforzò il potere spirituale del Papa. Pochi mesi prima di Porta Pia
L'infallibilità del papa: il dogma che ha rivoluzionato la Chiesa

L’apertura del Concilio Vaticano I, l’8 dicembre 1869, in una stampa dell’epoca (CreativeCommons)

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Lo scontro del Papato con la cultura moderna era cominciato molto tempo prima. Nel Settecento, quando si affermò l’illuminismo e fu soppressa la Compagnia di Gesù, o forse addirittura nel Cinquecento, quando la Riforma staccò da Roma il Nord Europa. Ma è indubbio che il Concilio Vaticano I, che si aprì a San Pietro l’8 dicembre 1869 e che stabilì il dogma dell’infallibilità papale - fu l’episodio culminante di quel conflitto fra la Chiesa cattolica e la modernità che probabilmente non è ancora arrivato a composizione, nonostante temporanei armistizi.

Forse non a caso il Concilio Vaticano, interrotto per lo scoppio della guerra tra Francia e Prussia, non riuscì neppure a concludersi e fu sospeso dopo che le truppe italiane entrarono a Roma, il 20 settembre, e posero fine allo Stato pontificio. Sarà Giovanni XXIII a chiuderlo formalmente quasi cento anni dopo, nel 1960, alla vigilia dell’apertura di un nuovo Concilio, che si chiamerà appunto Vaticano II.

Il Vaticano I - che ricordiamo a centocinquant’anni dal suo inizio - fu convocato da Pio IX (1846-1878) al termine di un ventennio drammatico, durante il quale erano state esasperate tutte le ragioni di conflitto col mondo circostante. Col Piemonte e poi con l’Italia unita a causa delle leggi che espropriavano i beni ecclesiastici e laicizzavano lo Stato. Con la cultura liberale a causa dell’emanazione del Sillabo (1864), che ancorava la Chiesa al mondo prerivoluzionario e tagliava tutti i ponti col pensiero moderno. Con parte della stessa struttura ecclesiastica, per la proclamazione del dogma dell’Immacolata concezione (1854), non da tutti accettato.

C’era poi la Questione romana che incombeva, a causa della probabile, prossima fine dello Stato della Chiesa. Ma i conflitti ad extra provocarono ad intra un movimento uguale e contrario: l’arroccamento dei cattolici attorno a Pio IX, il papa "perseguitato", il cui mito crebbe proprio in quegli anni in tutto il mondo cristiano. È in tale clima che il pontefice, rafforzato dal crescente consenso interno, propose la convocazione di un concilio, tre secoli dopo il Tridentino, per ribadire nella forma più solenne le verità cristiane contro il razionalismo e il liberalismo, che non davano più spazio ai valori soprannaturali.

L’annuncio suscitò un generale consenso, ma anche stupori e perplessità, che divennero pubblici quando un articolo della "Civiltà Cattolica", siamo all’inizio del 1869, indicò lo scopo vero del concilio: proporre come dogma di fede l’infallibilità del papa, ciò che lo avrebbe posto inevitabilmente al di sopra della Chiesa.

Da quel momento il Concilio divenne un problema politico per l’intera Europa. Un papa dichiarato infallibile destabilizzava tutti i poteri costituiti. Ma allarmava anche i governi, che in quella proposta vedevano giustamente la fine della vecchia Chiesa di Stato, allora ancora presente in molte aree d’Europa, e temevano che questo nuovo superpotere spirituale, internazionale e inappellabile - il papato infallibile - potesse diventare una minaccia, attraverso i rami del cattolicesimo presenti ovunque, per l’autonomia e l’indipendenza degli Stati nazionali. Si giunse a proporre una conferenza intergovernativa per studiare una comune difesa. L’idea poi fu archiviata e, saggiamente, si preferì aspettare e vedere. In questo modo il concilio divise l’Europa ancora prima di iniziare, accrescendo l’isolamento del cattolicesimo.

Ma la corrente infallibilista, che vedeva nell’arroccamento attorno al papato, nel suo rafforzamento, l’unica salvezza di fronte alla miscredenza, all’anticlericalismo, all’invadenza dello stato moderno, era maggioritaria e portò il Concilio alla conclusione voluta. Dopo sfibranti trattative fra le diverse anime presenti nell’episcopato, durante le quali però l’esito non fu mai in discussione, il 18 luglio 1870, nel corso di un apocalittico temporale che oscurò il cielo di Roma, come raccontano le cronache del tempo, fu approvata la costituzione dogmatica Pastor Aeternus, che affermava infallibili «per se stesse e non per il consenso della Chiesa» le definizioni in materia «di fede e di costumi» proclamate dal Papa quando «parla ex cathedra».

Su 535 vescovi presenti (quelli contrari, una sessantina, avevano lasciato l’aula prima del voto) i voti contrari furono due. Il giorno seguente scoppiò la guerra tra Francia e Prussia e molti vescovi lasciarono Roma. Nei pochi mesi in cui lavorò il Concilio aveva varato due soli documenti, quello che oggi ricordiamo è il secondo, approvato proprio nell’ultimo giorno utile, quando iniziava in Europa il conflitto che si sarebbe concluso con la fine della figura del papa-re. Neppure la più fervida fantasia avrebbe potuto immaginare questa incredibile coincidenza, quasi da contrappasso dantesco: il potere spirituale dei papi esaltato fino all’impensabile proprio quando viene distrutto e umiliato il suo potere civile.

I vescovi contrari (fra i quali c’erano figure eminenti, basti ricordare il croato, allora austriaco, Iosip Strossmayer, uno dei padri indiscussi della moderna Croazia) rapidamente si adeguarono. Una piccola minoranza di cattolici, in Svizzera e Germania, che faceva riferimento al maggior oppositore del nuovo dogma, Ignaz von Döllinger, persistette invece nel rifiuto e diede vita ad un gruppo scismatico.

Ma fu sul piano politico che la proclamazione conciliare ebbe gli effetti più dirompenti. L’Austria-Ungheria dichiarò estinto il concordato del 1855 perché il contraente vaticano aveva cambiato natura. Lo stesso fece la Baviera. La Svizzera espulse alcuni vescovi e il primo ministro inglese Gladstone affermò che la Chiesa di Roma era diventata una minaccia per lo Stato. Peggio andò in Germania, dove Bismarck sostenne la stessa tesi ed emanò durissime leggi antiecclesiastiche per riportare sotto controllo i cattolici nel corso di quella lunga vicenda, durata quasi un decennio, che è passata alla storia come Kulturkampf. Uno scontro che ha segnato profondamente la storia tedesca successiva.

La proclamazione conciliare spaccò dunque l’Europa, ma ebbe l’effetto che il papa, probabilmente, si era prefisso e che ha cambiato il volto del cattolicesimo. Affossò definitivamente la cultura episcopalista e antiromana prerivoluzionaria, di cui ancora sopravvivevano molti residui; affermò il primato del papato sulla Chiesa universale e rese indiscusso il suo potere di giurisdizione; compì la trasformazione del cattolicesimo in una gigantesca organizzazione internazionale, che poi il suo successore Pio X completerà sotto il profilo giuridico col varo del Codex iuris canonici; ruppe ogni residuo collegamento della Chiesa cattolica con i poteri politici, esaltandone l’autonomia e facendone il primo e, allora, unico potere transnazionale. Fu insomma una rivoluzione.


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