giovedì 26 gennaio 2012
Le immagini del campo di sterminio, rese ancor più forti dalla tecnica, si alternano alle voci dei sei deportati. Ma il film andrà in onda alle 23.35.
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Le parole pesano come macigni: «Non si può e non si deve perdonare. Se uno sterminio di questa portata può essere perdonato, allora il perdono perde il suo significato perché vuol dire che si può fare tutto. E, poi, loro non ci hanno mai chiesto di essere perdonati». A parlare è Goti Bauer, deportata ad Auschwitz-Birkenau all’età di 19 anni e sopravvissuta al campo di concentramento; «loro» sono i suoi aguzzini, quelli che avevano tolto a lei e ad altri milioni di ebrei «il nome, il padre, la carta d’identità, lasciandoci solo questo numero tatuato sul braccio». Goti Bauer è una dei sei protagonisti di <+corsivo>Le non persone,<+tondo> film documentario girato (in 3D) ad Auschwitz da Roberto Olla che andrà in onda domani, alle 23.35) su Raiuno (all’interno di TV7) e su RaiHD (canale 501 del Digitale Terrestre). Con lei, a ripercorrere ciascuno la propria drammatica esperienza in quella fabbrica di morte che fu il lager di Auschwitz, ci sono: Shlomo Venezia, autore del libro <+corsivo>SonderKommando 182727<+tondo>; Andra e Tatiana Bucci, sopravvissute ai folli esperimenti di Josef Mengele che le aveva temporaneamente salvate dalla camera a gas credendole gemelle quando avevano solo 4 e 6 anni; Sami Modiano, testimone al processo contro Rudolf Hoss, capo del lager; Piero Terracina, sopravvissuto insieme a Primo Levi.Se questo documentario esiste, spiega Olla, «è grazie a loro che hanno resistito diversi giorni all’interno del luogo in cui hanno vissuto l’inferno». Perché un conto è tornarci, come hanno fatto e continuano a fare, insieme agli studenti e ai professori per guidarli in una visita in quei luoghi di morte, un altro è rimanerci soli, mentre gli altri girano il film, a tu per tu con ricordi che non potranno essere mai cancellati. Non è un caso se tutti e sei si commuovono mentre raccontano la loro storia davanti alla macchina da presa, appoggiati ad un vagone piombato come quello che, più di sessant’anni fa, li portò oltre quella scritta beffarda Arbeit macht frei, o sulla soglia della baracca dove furono costretti a vivere peggio delle bestie o, ancora, in quelle camere a gas dove sparirono tutti i loro familiari. «Prima io non lo sapevo neanche di essere ebrea, cosa voleva dire per un bambino di 4, di 6 anni essere ebreo?» ricorda Tatiana Bucci mentre sua sorella Andra ammette di essere «una di quei sopravvissuti che vive col senso di colpa dell’esser tornata a casa».Piero Terracina spiega: «Le SS non perdevano occasione per ricordarci che, da questo campo, saremmo usciti soltanto attraverso il fumo dei camini» e si commuove ricordando la madre: «Aveva il volto bagnato dalle lacrime, ci abbracciò tutti. Ricordo il mio viso contro il suo che si bagnava delle sue lacrime». Anche Goti Bauer ricorda la madre («Il suo ultimo saluto mi ha accompagnato ogni giorno della mia vita. Sono passati 67 anni e ogni giorno io mi rivedo mia madre che passa di qua») mentre Sami Modiano ha ancora in mente le botte prese dal padre che non voleva lasciar andare sua sorella. Ricordi terribili, senza dubbio, ma non solo. Il presidente della Rai Paolo Garimberti cita le parole pronunciate da papa Benedetto XVI ad Auschwitz: «Il passato non è mai solo passato ma ci indica le vie da prendere e quelle da non prendere». La Giornata della Memoria è, e deve essere, anche questo.
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