venerdì 22 settembre 2023
Don Pasquale Barone racconta la sua vita a fianco della mistica calabrese negli anni in cui ha guidato la comunità di Paravati. Un prete «razionale» di fronte al «mistero» di una donna straordinaria
La serva di Dio Natuzza Evolo

La serva di Dio Natuzza Evolo - -

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Lui la chiama «la mia ricerca della verità sul “caso Natuzza Evolo”». Una questione che, nei fatti, è il tema portante della sua vita, nei trent’anni in cui è stato il parroco della mistica di Paravati e nei quattordici seguiti alla morte della donna, avvenuta il primo novembre 2009. Parliamo di don Pasquale Barone, che da parroco fu confessore e padre spirituale di Natuzza e soprattutto, spiega lui stesso, indagatore a lungo diffidente del suo mistero. Perché del profluvio di doni spirituali che hanno accompagnato la vita della mistica, lui è stato testimone, sempre però esercitando il “consiglio” di sant’Agostino: «Ascolto le parole e guardo con intelligenza i fatti». Una disposizione alla lettura razionale degli eventi frutto della formazione culturale e teologica, ma anche della scelta di non voler perdere di vista il dovere, nei confronti dei suoi parrocchiani, di essere un pastore credibile, capace di guidarli all’interno dei solidi canoni interpretativi della Chiesa. Tutto questo emerge chiaramente in Natuzza e l’opera della Madonna nei miei ricordi (Adhoc. Pagine 328. Euro 20), in libreria da inizio estate, che è il secondo libro in cui don Barone si cimenta nella difficile missione di raccontare la straordinaria avventura della sua vita di sacerdote al fianco di questa «donna di preghiera», «vera maestra di vita spirituale» e guida all’incontro con Dio, capace di vivere in pienezza il suo essere donna, moglie e madre di cinque figli e di tutti coloro che a lei si sono rivolti per una preghiera o per un consiglio.

In ogni pagina del libro non si fa fatica a cogliere il desiderio di verità “con i piedi per terra” che anima l’autore e la sua costante sorpresa nel ritrovarsi alla scuola di Natuzza, a ogni episodio e a ogni aneddoto raccontato. E poiché nella sua ispirazione don Barone non segue la cronologia degli eventi, ecco che di tanto in tanto ci si imbatte negli episodi in cui l’originaria diffidenza del prete si mostra in tutta la sua radicale ostentazione. Come quando, giovane parroco a Comparni (vicino a Paravati, in provincia di Vibo Valentia), negli anni Settanta, promuove una raccolta fondi per far operare un giovane parrocchiano in una clinica romana. Alla raccolta partecipa (significativamente) anche la mistica, suscitando in alcune persone la spontanea domanda al parroco: «Siete andato anche voi da Natuzza?». La risposta è così sferzante che don Barone, oggi, non nasconde di averne ancora vergogna: «Da Natuzza non ci sono andato e mai ci andrò. Ci può andare il popolino. A me non ha niente da dire: sono un uomo di cultura».

Una diffidenza che riceve inattesa risposta nell’estate del 1980 quando il vescovo della diocesi di Mileto, monsignor Domenico Cortese, comunica a don Pasquale la decisione di farne il parroco di Paravati. Lui cerca di opporsi, per varie ragioni, in un lungo colloquio. Poi cede per obbedienza. Arriva a Paravati a inizio ottobre. Alla prima messa domenicale ad accoglierlo c’è anche Natuzza e da quel momento, anno dopo anno, per il prete don Pasquale cambia ogni cosa in un viaggio ricco di episodi straordinari, che il libro propone con una spontaneità saggia e umile, da valerne, essa sola, la lettura. La diffidenza iniziale lo spinge, poi, a cercare di capire le ragioni autentiche di quel mistero, in una personale indagine che lo conduce a immergersi in esso fino a sentirsi a suo agio in un contesto spirituale che lo avvolge e gli dona serenità. Di fronte a quella straordinaria madre di famiglia, don Barone capisce che non c’è altro da fare che mettersi in ascolto, lasciarsi trasformare nel cuore e «ringraziare, facendo nostra l’affermazione di Gesù: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della Terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”». (Lc 10,21).

In fondo, questo di don Barone è un racconto intimo. Una specie di diario di conversione. Ed è interessante che in esso, a un certo punto, si faccia significativamente largo la figura del falegname Pasquale Nicolace, il marito di Natuzza, «un uomo buono come il pane di casa». Innamorato della moglie al punto di mettersi al servizio, soprattutto nel gestire il flusso incredibile delle persone che volevano vederla. Eppure, per sua stessa ammissione, quella donna non l’aveva mai capita fino in fondo. E anche nel descrivere questo umile uomo di Calabria, con una vita tracciata dal dover fare i conti con i fenomeni mistici della moglie, don Barone riesce a fornirne con semplicità la chiave di lettura aggiungendo al tradizionale appellativo del falegname, mastro Pasquale, la “e” di maestro. Un libro essenziale, senza altro obiettivo che di raccontare la storia di un incontro mettendo in fila i fatti così come sono accaduti. E se è vero che nel raccontare Natuzza Evolo capita che don Barone finisca implicitamente per raccontare anche se stesso, quel che ne viene fuori è la figura di un uomo, di un prete, che ha fatto della verità la ricerca fondante della sua vita e quando sente di averla trovata si incammina così naturalmente in essa da riuscire a raccontarla con la credibilità di chi non antepone mai se stesso. In questo il libro ha il suo segreto. Leggerlo è un po’ come incontrare dal vivo la mistica di Paravati: così come era davvero.

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