sabato 12 novembre 2022
Kira Jarmyš, collaboratrice di Naval’nyj, ha scritto un libro ispirato alla sua detenzione: «Se sono perseguitata, sto facendo bene il mio lavoro. La guerra lascerà ferite a lungo termine»
La giornalista e scrittrice russa Kira Jarmyš

La giornalista e scrittrice russa Kira Jarmyš - Mondadori

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C’è un punto di svolta nella vita della giornalista 33enne Kira Jarmyš, nata l’11 ottobre 1989 nella città di Rostov sul Don, nella Russia meridionale: l’incontro con Aleksej Naval’nyj. Nel 2013 partecipa alla campagna elettorale del politico e blogger di origini ucraine, il più importante esponente dell’opposizione in Russia, allora candidato a sindaco di Mosca. Nell’agosto dell’anno successivo diventa sua portavoce e assistente, oltre che segretaria stampa della “Fondazione anti-corruzione” ideata dallo stesso Naval’nyj. Nel febbraio 2018 Kira viene arrestata per cinque giorni con l’accusa di aver condiviso con un retweet una notizia che «formava un’opinione negativa di un altro candidato » alle elezioni presidenziali russe e tre mesi dopo un tribunale di Mosca ordina un arresto amministrativo di 25 giorni per le opinioni espresse su Twitter nei due giorni precedenti all’insediamento di Vladimir Putin. Jarmyš è accanto a Naval’nyj sul volo da Tomsk a Mosca, la mattina del 20 agosto 2020, quando lui cade in coma a causa di un avvelenamento. Trasferito per le cure in Germania, pochi giorni dopo il rientro a Mosca nel gennaio 2021 del dissidente (attualmente detenuto in un carcere russo di massima sicurezza), il 1° febbraio l’attivista viene condannata agli arresti domiciliari: l’accusa è quella di aver indetto il 21 gennaio manifestazioni in suo sostegno e aver organizzato eventi pubblici senza avvisare le autorità. In questa circostanza Memorial, organizzazione per i diritti umani, le riconosce lo status di prigioniera politica e oggi lei vive lontana dal suo Paese: decide di lasciarlo due settimane dopo l’ennesima condanna, arrivata il 16 agosto 2021, a un anno e mezzo di libertà vigilata per incitamento a violare le regole sanitarie ed epidemiologiche durante una manifestazione non autorizzata. Riguardo alla repressione della libertà di pensiero e parola, Memorial riferisce che dal 2015 in Russia è aumentato di dieci volte il numero di prigionieri politici: 1.300 su 466 mila detenuti. La giornalista e attivista firma nel 2020 il suo primo romanzo dai risvolti a tratti autobiografici, Gli incredibili eventi della cella femminile n. 3, ora tradotto da Mondadori (pagine 372, euro 20,00). Fra le pagine trasuda una consistente porzione di rabbia nei confronti di un sistema repressivo, blindato e crudele, che ha stravolto concretamente la sua esistenza. Nell’intreccio il tempo si dilata nelle attese, con improvvise accelerazioni registrate dallo sguardo attento della protagonista 28enne Anja, arrestata durante una manifestazione contro la corruzione del governo russo e condannata a dieci giorni di carcere da scontare in un centro di detenzione speciale per reati minori, in una cella condivisa con altre cinque donne.

Cosa l’ha spinta a scrivere questo romanzo?

Mi ha convinta Aleksej Naval’nyj. Era il 2018, entrambi simo stati arrestati per aver convocato una manifestazione ed eravamo seduti nel centro di detenzione, a scambiarci appunti. Gli stavo parlando delle mie compagne di cella e mi ha suggerito di scrivere un libro sulla mia esperienza. Pensavo stesse scherzando. Davvero ho sempre voluto scrivere, ma non pensavo di avere realmente la forza e la pazienza per farlo. Quando siamo stati rilasciati, Aleksej me lo ha ricordato di nuovo. Ho iniziato più volte, ma sono rimasta insoddisfatta e così ho deciso che mi sarei concessa un ultimo tentativo. A un tratto il testo ha iniziato a funzionare. Capitolo per capitolo l’ho mostrato ad Aleksej, lui l’ha letto attentamente ed è stato di grande aiuto. Penso che ad aiutarmi a finire sia stata la sua fiducia indissolubile che avrei avuto successo, nonostante tutto.

Anja Romanova, la protagonista, è l’alter ego di Kira?

No, è un personaggio di fantasia. Certo, ho usato le mie esperienze personali per crearlo, ma il libro è finzione, non autobiografia.

Quale messaggio vuole lanciare attraverso il suo libro?

Volevo mostrare la Russia contemporanea come la conosco io, come la vede una donna russa moderna. In questo senso, un centro di detenzione è l’ambiente perfetto. Lì puoi incontrare persone di classi sociali completamente diverse, con background, interessi e punti di vista diversi. Ecco perché la cella in cui siede la protagonista è, in un certo senso, un modello dell’intera società russa.

Quando era agli arresti domiciliari in Russia nel 2021, quali sentimenti si sono alternati dentro di lei? Cosa ha imparato?

«Ero da sola nel mio appartamento, nessuno poteva venirmi a trovare, non potevo uscire di casa o usare Internet o il telefono. Ma questo non ha cambiato nulla nelle mie opinioni. Ho sempre saputo che stavo facendo la cosa giusta, anche se era rischioso. Il fatto che nella Russia di Putin io sia perseguitata per il mio lavoro dimostra solo che lo sto facendo bene.

Cosa pensa della guerra contro l’Ucraina?

Credo che questo sia un terribile crimine iniziato da Putin, nel quale sta coinvolgendo migliaia di miei concittadini, e che debba essere fermato immediatamente. Sono sicura che anche quando la guerra sarà finita, il fatto stesso che sia accaduta definirà per decenni le relazioni della Russia con l’Ucraina e il mondo. Ma in questo momento dobbiamo fare ogni sforzo per fermare Putin e la guerra che ha scatenato.

Cosa sogna per il suo futuro umano e professionale? E per quello della Russia?

Sono sicura che la Russia fa parte dell’Europa e prima o poi diventerà sicuramente un Paese democratico, libero, prospero, con un alto tenore di vita. Voglio che questi cambiamenti avvengano prima possibile e voglio contribuire a questo. E poi voglio scrivere: non riesco a immaginare la mia vita senza libri.

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