sabato 7 gennaio 2023
L'agrume che viene utilizzato per la festa del Sukkot, la più importante per la religione ebraica, cresce solo sulla costa tirrenica tra Diamante e Scalea, dove venne impiantato duemila anni fa
Due rabbini in una coltivazione di cedri presso Santa Maria del Cedro, in Calabria

Due rabbini in una coltivazione di cedri presso Santa Maria del Cedro, in Calabria - Museo del Cedro di Calabria

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Giungono a centinaia, ogni anno, tra la fine di luglio e l’inizio di settembre, da Budapest, Vienna, Parigi, Amburgo, Praga, Varsavia, Amsterdam, Odessa, Mosca, ma anche da New York e altre parti del mondo. Soggiornano a Diamante, San Nicola Arcella e Santa Maria del Cedro, in provincia di Cosenza, il tempo necessario a scegliere gli agrumi perfetti che serviranno per il Sukkot, la festa delle capanne che si celebra nelle comunità israelitiche tutti gli anni a ottobre secondo il calendario ebraico: ogni capo famiglia, infatti, durante la preghiera terrà nella mano sinistra il fascio del “Lulav” composto con rami di mirto, salice di fiume e palma, e nella destra un grande cedro a forma di cuore col peduncolo rivolto verso l’alto per rappresentare la perfezione a cui l’uomo deve tendere per arrivare a Dio.

Per selezionare i frutti migliori, che crescono oltre che in Israele solo qui in Calabria, tra il mare Tirreno e il massiccio del Pollino dove trovano un microclima ideale e irripetibile, i rabbini usano una lente di ingrandimento: come prescritto dalla Torah, infatti, i frutti devono essere puri, cioè nati senza innesti, avere la buccia liscia, immacolata, priva di fori e macchie, devono pesare circa 80 grammi (e non superare i 250) e presentare una forma che assomigli il più possibile a un grande muscolo cardiaco. Per svolgere la loro rigorosa ricerca dell’etrog (così viene chiamato il cedro nelle sacre scritture) i “saggi con barba e kippah” si inginocchiano o strisciano davanti alle basse piantine, che devono a vere almeno quattro anni, e indossano spesso guanti da giardiniere per non pungersi con gli aculei che si nascondono nel fogliame. I frutti che si raccolgono sono quelli gialli (ma la mutazione dal verde avviene dopo circa un anno). Vengono subito messi sotto vuoto e collocati in apposite cassette di legno con imballaggi adatti al trasporto fino alle sinagoghe, dove verranno distribuiti alle famiglie che parteciperanno al rito. Durante il loro viaggio, ovviamente, i cedri non devono subire traumi che ne possano intaccare in qualche modo l’integrità e la purezza richiesta dal testo sacro.

​Il Museo del Cedro a Santa Maria del Cedro, provincia di Cosenza

​Il Museo del Cedro a Santa Maria del Cedro, provincia di Cosenza - Foto di Max Rella​

Quella dei rabbini che selezionano personalmente e con le proprie mani, uno alla volta, i cedri di Calabria è una tradizione sorta tre secoli fa ma gli alberelli di questo agrume vennero impiantati qui duemila anni orsono, in epoca ellenica e poi romana attraverso una mediazione culturale ebraica (esistevano allora consistenti comunità di ebrei in questa zona della regione). Le piantine sono raccolte in ordinati filari dentro serre che le proteggono senza alterare l’equilibrio climatico esterno che è determinato, proprio in quest’area, dall’incontro di due correnti opposte: quella calda che spira dal mare e quella fredda che arriva dalla montagna. Nella fascia di terra della riviera calabra detta, appunto, “dei cedri”, lunga circa 80 chilometri, di frutti sacri se ne raccolgono circa cinquemila quintali ogni stagione e, quelli perfetti, vengono pagati dai rabbini da 30 a 50 euro l’uno. La varietà è chiamata “Cedro Diamante” ed è considerata anche la più profumata oltre che saporita (benché la buccia sia spessa e la polpa scarna).

Dal novembre del 1999 esiste, con sede a Santa Maria del Cedro, un Consorzio del Cedro di Calabria che riunisce 75 coltivatori diretti e ha come scopo lo sviluppo organizzato della produzione dopo anni di speculazioni, sfruttamenti e abbandono. E nella stessa località è stato aperto anche un Museo del Cedro (www.museodelcedro.com) che ripercorre l'antichissima storia del prezioso frutto legato al territorio e racconta gli aspetti tecnico-scientifici relativi alla sua produzione.

Negli anni Sessanta e Settanta si producevano qui addirittura 160mila quintali di cedri, poi c’è stata una forte discesa con soli 2mila quintali raccolti in un anno. La riorganizzazione delle aziende ha portato ora a un risveglio delle attività: il "cedro Diamante" viene utilizzato infatti anche per l’industria dolciaria (canditi e marmellate), liquori, sciroppi, olio e cosmetici, viste anche le sue straordinarie proprietà organolettiche.

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