mercoledì 22 agosto 2012
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«O faranno una rivoluzione tra di loro, e sarà terribile, o si romperanno la testa con tutti gli altri. Sono troppo esaltati. Se irromperanno fuori dalla loro terra, bisognerà fermarli ad ogni costo, ma il cozzo sarà duro». Il linguaggio non sarà da politologo, ma il giudizio – riferito ai nazisti – quant’era vero! Del resto lo pronunciava un ragazzo di appena vent’anni o poco più, sebbene d’intelligenza e cultura pronunciata, per esperienza diretta dopo le vacanze estive trascorse in Germania nei primi anni Trenta: quelli dell’ascesa al potere di Hitler. Il ragazzo era Carlo Bianchi – nome e cognome persino anonimi per un milanese come lui – è la storia gli avrebbe dato più che ragione; anzi, lui stesso sarebbe stato uno di quelli che tentarono di «fermarli ad ogni costo», a prezzo della vita medesima. Bianchi era un privilegiato: nato il 22 marzo di cent’anni fa, la sua famiglia era di agiata e cattolica imprenditoria. Il padre Mario era titolare di una cartotecnica e tipografia con oltre cento operai, più un’altra ventina in una succursale nel comasco. La madre Amalia è ricordata perché preferiva assumere nell’azienda ragazze madri o giovani senza famiglia, mentre per altri garantiva il mantenimento agli studi. Viene naturale quindi che il figlio Carlo – mentre frequenta il liceo classico al prestigioso collegio arcivescovile San Carlo di Milano e poi il Politecnico – militi nelle file dell’Azione Cattolica presso la parrocchia periferica della Barona e quindi nella Fuci; per quest’ultima organizzazione partecipa a vari congressi regionali e nazionali. Sono quelli gli anni in cui Carlo Bianchi frequenta la Germania in soggiorni estivi e – a chi gliene chiede conto – riferisce fin dagli esordi i pericoli del nazismo nascente. Né cambia parere dopo la laurea in ingegneria nel 1935 e il matrimonio alla vigilia della guerra, tanto che lascia l’impiego in una grande società elettrica per non doversi iscrivere al Partito fasciata. Subito dopo l’8 settembre 1943 infatti raduna gli amici ex fucini per ricostituire la «Carità dell’arcivescovo», associazione benefica che – sotto il patrocinio di Schuster – si occupa dell’assistenza sociale, medica e legale dei poveri di Milano. Bianchi ne diviene presidente e non si limita a interventi assistenziali: programma anche iniziative spirituali e culturali, tenendo conferenze sulla dottrina sociale della Chiesa e curando la formazione delle giovani leve. Si tratta probabilmente anche di un modo per «coprire» le attività clandestine di resistenza. Già in quell’ottobre 1943 Bianchi conosce Teresio Olivelli e Astolfo Lunardi, ambedue esponenti cattolici dell’antifascismo bresciano, e diventa il contatto tra loro e il Cln lombardo; la grande casa di Bianchi diventa anzi il recapito milanese di Olivelli (pare che la famosa «Preghiera del ribelle» sia opera di entrambi), così come la tipografia di famiglia produce clandestinamente i primi volantini antifascisti milanesi, come il manifesto «Fuori dall’equivoco, una parola sincera ai cattolici italiani» per confutare il periodico repubblichino «Crociata Italica» di don Tullio Calcagno.L’attività prosegue fino al 27 aprile 1944, quando Bianchi e Olivelli – traditi da una «soffiata» – vengono arrestati in piazza San Babila a tradotti prima nel raggio «politico» di San Vittore, quindi dagli inizi di giugno nel campo di smistamento di Fossoli (Mo). Di lì Bianchi scrive alla moglie incinta e ai tre figli piccoli una lettera che testimonia la sua lucidità e fede: «Non posso pentirmi di quanto ho fatto  vi prego con tutto il cuore scusare ancora una volta il mio entusiasmo che vi ha toccati senza colpa e vi fa soffrire per me... Sono fiero di essere qui perché sento che soffro per il domani dei miei figli, che non è fatto solo di pane e di moneta, ma innanzi tutto di giustizia e libertà». La sera dell’11 luglio viene inserito con Olivelli nel gruppo in partenza per la Germania; l’amico riuscirà a sottrarsi (ma sarà solo un rinvio della deportazione e morte nei lager), mentre il mattino seguente lui e altri 66 vengono invece trasferiti nel vicino poligono di Cibeno per la fucilazione. Lo storico Remo Rinaldi ha recentemente ritrovato l’agenda del vescovo di Carpi monsignor Vigilio Federico della Zuanna in cui è annotato il suo estremo accorrere al luogo dell’esecuzione per impedire l’eccidio: «Al campo, minacciato. Ottenuto nulla». I corpi verranno riesumati dalla fossa comune alla fine della guerra e il 24 maggio 1945 se ne celebreranno le esequie in Duomo. Durante le quali il cardinale Schuster non ometterà di citare nell’omelia «il buon giovane Carlo Bianchi quando, qualche giorno prima che fosse arrestato, venne ad informarmi dell’opera caritativa da lui fondata in mio nome». La figlia di Bianchi, nata un mese dopo la sua morte e che ne ha ereditato il nome, ha poi studiato e pubblicato due volumi storici sulla vicenda della resistenza cattolica milanese e anche del padre.
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