mercoledì 13 marzo 2024
Dentro al “cuore di tenebra” del problema ecologico, che genera smarrimento davanti alla modernità, guida l'ultimo libro di Mauro Bozzetti. Attraverso le tesi dei due intellettuali mitteleuropei
Alexander Langer

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Il problema ecologico, ci ha ricordato più volte Raimon Panikkar, è quello, paradossalmente più “rivelativo” dello smarrimento e del pervertimento della modernità: tale problema infatti è strettamente teologico e viceversa, perché affonda le sue radici nel visibile e nell’invisibile, così sfigurati oggi. E dentro questo «cuore di tenebra» ci accompagna Mauro Bozzetti, docente di filosofia teoretica ad Urbino, con il suo Ecologia e giustizia. Ivan Illich e Alexander Langer (Castelvecchi, pagine 206, euro 22,00). L’avvicinamento Illich-Langer, non usuale ma molto opportuno – i due tra l’altro si conobbero, si frequentarono, si stimarono ed è certa l’influenza di Illich su Langer – non è tanto e solo accademico, ma soprattutto pratico: infatti è convinzione dell’autore «che ritornare ai loro scritti e al loro esempio possa servire a ridare nuova dignità filosofica alla conversione ecologica integrale che dovremmo mettere in pratica nei tempi più prossimi».

Del resto la riflessione teorica deve essere strettamente intrecciata con l’esperienza di vita, e, come ci ha insegnato Pierre Hadot, la filosofia è un modo di vivere. E questa è stata una delle aspirazioni cruciali di Ivan e di Alexander: di incarnare quanto teorizzavano, affrontando, con radicalità e profondo desiderio di verità e equità, problemi e ingiustizie che sono quelli della nostra civiltà, non certo migliorati oggi, ma anzi ancora più estremizzati. Anche tanti altri autori citati da Bozzetti – si pensi a Karl Polanyi, ad Hannah Arendt, a Hans Jonas e allo stesso Raimon Panikkar, sono accumunati da questa profonda sinergia tra pensiero e vita, tra riflessione e responsabilità.

Del resto abbinare il critico radicale di ogni forma di istituzionalizzazione con chi, come Langer, «ha cercato di dare dignità all’impegno politico» ha anche molte altre ragioni: entrambi sono stati critici radicali di una civiltà prevaricatrice non solo dal punto di vista economico, con sempre più gravi disuguaglianze, ma anche colpevole di immiserimento spirituale e di possibile ecocidio; tutti e due di formazione filosofica hanno avuto un genitore ebreo ed uno cattolico, il che è stato comunque fondamentale nella loro avventura umana. Da ultimo entrambi sono stati propugnatori di un’utopia concreta, attiva e trasformativa.

Bozzetti ci parla dell’attualità Illich- Langer facendola risuonare con un’analisi serrata della profonda crisi dell’oggi, invero più un crollo o una trappola: l’uomo occidentale, separato dalla natura, «si è trasformato in una massa di anonimi consumatori completamente bendisposti verso l’omologazione dei gusti»; la tecnica impone i suoi modelli e la sua accelerazione facendosi tecnocrazia; lo sviluppo economico è sempre più predatorio, assolutizzato e irresponsabile, in una corsa alla novità per la novità, e ad un benessere illimite e acefalo. Il tutto poi accettato come «qualcosa di ineluttabile o come frutto logico dell’evoluzione umana».

Sconsolante questa vita, dice la Arendt, in cui «le cose devono essere divorate ed eliminate con la stessa rapidità con cui sono state prodotte». Insomma la critica radicale di Illich e Langer a questo sistema, a questo modo di vivere non solo non è cosa del passato, ma contiene un messaggio di speranza per il futuro: ecco allora la «convivialità» del grande filosofo viennese, come le «virtù verdi del futuro di Langer, la consapevolezza del limite, l’equilibrio, la conversione ecologica e l’obiezione di coscienza al consumismo». Entrambi credono che «un’economia fondata sull’equità funzionerebbe meglio e non creerebbe i danni irreversibili che dobbiamo subire, e che mortificheranno le generazioni future, soprattutto dal punto di vista ambientale; e così sarebbe per una società parca, misurata nei consumi di energia, di acqua, di territorio, rispettosa della biodiversità e pronta ad adeguare stili di vita e abitudini alla sostenibilità di un mondo troppo popolato e inquinato».

Il sistema attuale – antropocene, capitalocene o plastocene che sia – è una «religione laicizzata» (Latour), meglio un’idolatria perversa e mortifera, o una pseudo- religione solo di culto e colpa, come intuì Walter Benjamin. Serve piuttosto, in questa crisi drammatica ed esodica, un nuovo monachesimo interiorizzato e politico, aperto a tutti: ogni persona può risvegliarsi e riscoprire dentro e fuori di sé questa dinamica di unificazione e di trasformazione. L’interiorizzazione non è intimismo, ma relazione profonda con se stessi, con il prossimo e con il mistero.

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