mercoledì 22 luglio 2020
Nel suo ultimo libro ha riunito storia e geografia immaginando tanti percorsi tra gli estremi del Vecchio continente: «Abbiamo bisogno l’uno dell’altro e presto troveremo un nuovo equilibrio»
Lo scrittore olandese Mathijs Deen

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La smisurata e interconnessa rete di strade che si dirama per tutta l’Europa è tracciata su percorsi che da migliaia di anni hanno visto un ininterrotto flusso di viandanti: mercanti e pellegrini, fuggitivi e soldati, hanno stampato i loro passi sul suolo del nostro continente. Lo scrittore e giornalista olandese Mathijs Deen si è messo letteralmente sulle orme di alcuni di loro, percorrendo più di 20.000 chilometri, e ne è nato un libro suggestivo e sorprendente: Per antiche strade (Iperborea, pagine 458, euro 18,50). Storie di viaggio e viaggi nella Storia si alternano di capitolo in capitolo coprendo una parabola temporale lunghissima, dal primo europeo, l’ominide che arrivò a piedi da est circa 800.000 anni fa, fino agli sportivi del primo Novecento che in nome del progresso inventarono le gare automobilistiche su strada, come la Parigi-Vienna.

Come ha scelto gli otto protagonisti del suo viaggio nella storia europea?

Il libro doveva visitare il Nord, il Sud, l’Ovest e l’Est e poi tutto il percorso della nostra storia comune: l’inizio della presenza umana sul nostro continente, l’epoca romana, il Medioevo, il Rinascimento, l’Illuminismo, il XX secolo, il presente. Inoltre volevo includere commercio e guerra, religione e scienza, esplorazione e cooperazione. Così ho iniziato a cercare, con una predilezione per i fatti che accadono ai margini della grande storia. Ho scelto deliberatamente personaggi più o meno oscuri, come il brigante romano Bulla o l’ebreo sefardita Jacob Barocas. Non volevo che l’attenzione del lettore si allontanasse dal tema principale del viaggio europeo, dell’interazione tra le persone e il paesaggio.

Nei vari capitoli si alternano diversi generi letterari: dalle lezioni di paleontologia all’epica delle saghe, dal romanzo avventuroso al mémoire, al reportage. Ha adattato il genere narrativo ai personaggi scelti?

Sì, è così. Quando ho incontrato Gudrid in una saga islandese ho cercato di ricreare quello stile, e poiché il nostro Antecessore è troppo lontano nel tempo per introdurlo come personaggio parlante (anzi probabilmente non parlava), ho scelto la distanza della lezione. Più mi avvicinavo nel tempo, più libertà di generi potevo permettermi. Mi sono installato in un territorio ibrido tra finzione e saggistica, temendo di essere disapprovato dai cultori di entrambi i generi.

A parte la straordinaria pellegrina medioevale Gudrid, non ci sono altre donne protagoniste dei capitoli, ma in ognuno comunque si avverte la presenza femminile.

In effetti ho cercato di includere le donne come personaggi forti nelle storie. Ad esempio, nel capitolo sul teatro di Lope de Vega introdotto nei Paesi Bassi nel XVII secolo, il traduttore Barrocas non è l’unico protagonista della storia, ma deve condividere quella posizione con Susanna van Lee che ha lottato affinché potessero essere le donne a interpretare sul palcoscenico le parti femminili. Il ruolo delle donne nella diffusione della civiltà europea è di grande importanza. È stata mia figlia a spiegarmi che sono sempre state le donne a trasmettere storie di generazione in generazione. E poiché le storie portano la conoscenza di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, di ciò che può accadere e di cosa pensare, giocano un ruolo chiave nel trasmettere la conoscenza e la cultura.

Per scrivere il suo libro lei ha attraversato l’Europa e conosciuto scienziati e storici che l’hanno indirizzata nelle sue ricerche: come ha organizzato il lavoro?

Ho intrapreso i miei viaggi sia per incontrare le persone che potevano aiutarmi, sia perché il paesaggio del nostro continente è di per sé un archivio. I fiumi, le montagne, le coste, i suoni, il clima, le zanzare, le onde, sono tutti più o meno uguali per i miei protagonisti e per me. La geografia stessa dell’Europa mi ha fornito dettagli che non sarei stato in grado di trovare dietro la mia scrivania.

Purtroppo le strade d’Europa sono state percorse da eserciti che hanno diviso le nazioni mettendole le une contro le altre, e ora corriamo un nuovo pericolo con la pandemia, che rischia di isolarci.

Ma noi abbiamo bisogno l’uno dell’altro in Europa e troveremo un nuovo equilibrio. Io penso che questa pandemia possa demolire la retorica anti-immigrazione, la gente desidera che le frontiere siano riaperte. È in un certo senso un periodo molto unitario della nostra vita. Ci troviamo in una di quelle rarissime situazioni storiche in cui tutti pensano e parlano dello stesso argomento, siamo tutti uguali davanti al virus, a prescindere dalla nazionalità o dalle preferenze politiche.

Purtroppo in alcuni Paesi, fra cui il suo, prevalgono gli egoismi.

Nei miei libri non faccio politica, ma se fossi un politico europeo ora coglierei l’attimo, mostrerei solidarietà, aiuterei chi è più colpito, valorizzerei l’occasione del momento in cui siamo tutti uno e dimostrerei che possiamo ricominciare insieme. Niente è peggio, per una relazione, della consapevolezza che l’altro non era lì quando si aveva più bisogno, o che voleva utilizzare la situazione a proprio vantaggio.

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