mercoledì 10 aprile 2024
Parla il giovane senegalese arrivato in Italia scampando al naufragio del gommone su cui viaggiava. Dal suo libro "Pane e acqua" il film diretto da Matteo Garrone candidato all'Oscar
Ibrahima Lo

Ibrahima Lo - Incroci di Civiltà

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Ibrahima Lo è in Italia da pochi anni e ci è arrivato partendo dal Senegal, sopravvivendo ai lager libici e dopo che il gommone con tante, troppe persone a bordo su cui viaggiava è naufragato. Oggi è un giovane attivista per i diritti umani, che nel 2021 ha pubblicato Pane e acqua (edizioni Villaggio Maori), alla cui storia si è ispirato Matteo Garrone per il film Io capitano. Domani alle 15 sarà tra gli ospiti di Incroci di civiltà, festival internazionale di letteratura a Venezia, per parlare di viaggio e molto altro con la giornalista, fotografa, regista e scrittrice di padre italiano e madre ruandese Marilena Umuhoza Delli, fortemente impegnata nel contrasto del razzismo che esiste in molti aspetti della vita sociale italiana, insieme a Carlotta Giucastro e Francesco Vacchiano. Abbiamo intervistato Ibrahima Lo e con lui siamo partiti proprio dal tema del viaggio, con le sue molte varianti: «Ho camminato tanto – ci dice – ma il mio cammino non è ancora finito, la mia strada è ancora molto lunga, perché ogni giorno nasce una nuova strada. Viaggio per me significa avere qualcosa in più, qualcosa che non si è mai avuta nella vita, conoscere lingue, culture, persone, posti nuovi, ovvero tutto ciò che apre la mente e porta umanità».

Il festival di quest’anno tra le sue iniziative vede anche le celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Marco Polo, uno dei personaggi che più nella storia ha amato incrociare civiltà, lingue, culture.

Il viaggio è una ricchezza che non ha confini, perché va dove non ti aspetti. La prima cosa che mi ha dato il viaggio è stata l’interazione, non l’integrazione. Prima di tutto il viaggio non ti porta in un luogo ma ti conduce dagli altri. In Italia sono stato accolto da una persona stupenda che mi ha trattato in modo umano, mi ha ospitato e aiutato in tutto ciò che mi serviva. Con lei ho imparato a conoscere una cultura, una lingua, un dialetto. Ogni volta che scambi una di queste cose con qualcuno, non ne perdi una, ne aggiungi una. Il viaggio ti apre alle persone e alle loro storie, ti toglie dalla paura e dall’ignoranza.

Nel libro lei racconta la speranza di approdare a una terra promessa, l’Europa, dove però ha dovuto anche farei i conti con il razzismo.

L’Europa ha sbagliato in alcune occasioni e qualche volta continua a sbagliare. È sufficiente guardare a quello che accade con le guerre in questo momento. L’errore più grande è non capire che la storia ritorna, che quando accadono certe cose viene tolto tutto alle persone. Quando arriviamo in Europa non c’è realmente accoglienza e libertà, sentiamo la diversità con gli atri. Credo tutto nasca dalla paura, le persone non si avvicinano, non aprono la loro mente, non accettano, mettono confini tra l’uno e l’altro e quei confini a volte servono solo per fare propaganda politica sulla pelle degli altri.

Il suo però è anche il resoconto di chi nutre ancora la speranza di un’integrazione possibile e di chi partecipa alla volontà di un mondo realizzabile in maniera diversa.

Il mio sogno è che ci sia un mondo migliore. Sogno di non vedere più le persone che muoiono in mare. Ogni giorno mi addormento e quando mi sveglio sogno questo, che non ci siano più lager in Libia, che non ci siano più morti nel deserto, che tutti possano avere un passaporto per viaggiare senza problemi, che tutti possano avere possibilità e diritti e nessuno debba più viaggiare in maniera disumana e morire in mare. Sogno che un giorno tutti abbiano non solo il diritto di viaggiare, ma di restare, di non dover scappare e migrare per forza in altri paesi, oppure di poter tornare liberamente nel proprio paese.

Quali altri sono i suoi sogni per il futuro?

Sono diventato un giornalista, anche se non ho ancora un contratto, un tesserino, un diploma. Questo perché il giornalista che sognavo di essere non è solo quello che fa interviste, ma quello che lotta per gli altri, che dà voce a chi non ne ha una, un giornalista che denuncia quello che non va bene nel mondo, le ingiustizie. L’ho fatto con il mio libro e sogno di continuare a farlo. Il mio libro è andato dove io non sarei mai riuscito ad andare da solo, l’hanno letto persone che non ho mai conosciuto nella mia vita e mai avrei potuto conoscerle senza di esso. Questa voce che avevo voglia di alzare per gli altri l’ho alzata e ancora la sto alzando girando per Italia e l’Europa, per far sentire ancora e sempre la mia voce.

Tra le sue attività c’è anche un importante impegno con le scuole e il volontariato. Cosa le ha dato incontrare i più giovani e confrontarsi con loro?

Credo molto nei giovani, sono il futuro di questo pianeta. Quando mi invitano adulti e giovani preferisco andare dai giovani, perché la lotta che sto facendo la posso fare insieme a loro, mentre gli adulti hanno già fatto qualcosa, i giovani invece sono la prossima classe politica, sono loro che possono cambiare davvero le cose; gli adulti hanno perduto la loro occasione. I giovani invece sono appena nati e l’unica speranza che abbiamo per cambiare il mondo è quella di unirci, non lasciare andare il nostro futuro, imparare gli uni dagli altri. Ogni volta che sono davanti a loro mi insegnano qualcosa mentre parlo. Con uno sguardo di intesa mi dicono di andare avanti contro il razzismo e contro ogni forma di cattiveria.

Qual è il suo rapporto con la fede? Nel libro scrive che la religione la fa stare bene.

Sono credente, sono nato in una città molto religiosa. Purtroppo nel mondo ci sono persone che fanno guerre per la religione, tuttavia ci sono molte persone che amano la religione e la vivono pacificamente. La fede mi aiuta a credere in un mondo libero, un mondo dove coltivare umanità e lottare senza violenza.

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