martedì 7 settembre 2010

 

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L’abbiamo conosciuto proprio qui a Venezia, dove ha presentato la docu-fiction Bye Bye Africa nel 1999 e Daratt - La stagione del perdono nel 2006, vincendo il Gran Premio della Giuria. Riconoscimento ottenuto quest’anno anche a Cannes con Un homme qui crie. Ed è proprio grazie a lui che ogni volta scopriamo la tragedia di un paese, il Ciad, povero e autodistruttivo, calpestato nei diritti e straziato dalle innumerevoli guerre, sempre capace tuttavia di fare appello alla speranza. Mahmat-Saleh Haroun, una delle voci più originali e vivaci del cinema africano, ha ricevuto ieri alla Mostra del Cinema di Venezia il Premio Robert Bresson, giunto alla sua undicesima edizione e attribuito ai registi che abbiano dato una testimonianza significativa del difficile cammino verso la ricerca del significato spirituale della nostra vita.  Il premio, andato in passato ad artisti come Wim Wenders, Giuseppe Tornatore, Aleksandr Sokurov e Walter Salles, è patrocinato dalla Santa Sede e assegnato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo presieduta da Dario E. Viganò. «La storia personale e collettiva – dice Viganò leggendo le motivazioni del riconoscimento – si intrecciano di continuo nella filmografia di Horoun e saldano in un unico movimento le responsabilità dei singoli ai destini dei molti. In tempi di marcato individualismo il suo cinema ci ricorda che nessun uomo è un’isola». A premiare il regista è il Patriarca di Venezia, Sua Eminenza Card. Angelo Scola che nella filmografia del regista, attenta ai valori umani e spirituali, sintesi di crudo realismo, profondità psicologiche, aspetti lirici e poetici, ha riconosciuto la capacità di rivolgersi a una platea universale. «Il cinema è una lingua franca – ha detto il Patriarca – capace di osservare la realtà a trecentosessanta gradi, di ascoltarla per poterla interpretare. Il cinema va al cuore dell’esperienza comune di ogni uomo, un’esperienza elementare e integrale. Il cinema che narra gli affetti, il lavoro e il riposo quotidiani ha la forza di comunicare agli esseri umani di culture diverse, perché il fondo del cuore dell’uomo è comprensibile in Africa come in America e in Giappone». «Sono estremamente commosso e onorato da questo premio – ringrazia Haroun applauditissimo dal figlioletto che lo guarda incantato stringendo un peluche – che è per me come una vera e propria benedizione e che ha avuto il merito di far conoscere autori e cinematografie distanti».
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