sabato 30 aprile 2016
Tra sacro e jazz, il ritorno del SERPENTONE

ZIGA KORITNIK

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È uno strumento gentile, il serpentone. Non fatevi ingannare dalle apparenze: ma avvolgervi nelle sue spire sì. Perché la sua voce è ipnotica e sacra. E sebbene arrivi da un tempo lontano e ha risuonato a lungo, è stata presto dimenticata. Due valve di castagno si allargano in meandri, per uno sviluppo totale di due metri e mezzo. Le avvolge una guaina di cuoio, un materiale che non va confuso con una imitazione della pelle del serpente. «Non è un problema estetico ma acustico. Il cuoio interviene sulle vibrazioni in modo essenziale. È da lì che nasce il suono del serpentone, che a tanti sembra un misto tra corno, trombone e fagotto soltanto perché è unico e inimitabile». A parlare è Michel Godard, il maggiore tra i “serpentonisti” contemporanei e tra i pionieri della sua rinascita. «È uno strumento che negli ultimi anni si è sviluppato in modo pazzesco. Quando ho iniziato eravamo in pochi a suonarlo, forse una decina in tutto il mondo. Oggi siamo in tanti. Dal 2002 lo insegno al conservatorio di Parigi e ho numerosi allievi, molti dei quali sono riusciti a intraprendere una carriera professionista. Anche in Italia».
ASCOLTA IL SUONO DEL SERPENTONE CON GODARD
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Godard lo ha imbracciato per la prima volta nel 1979. All’epoca era già noto come virtuoso di basso tuba, strumento a cui è accomunato dalla presenza del bocchino, che nel serpentone è in corno o avorio (e ha così l’aspetto della coda di un crotalo): «Nella mia “prima vita” ero un musicista di musica classica e amavo quella antica. La eseguivo su trascrizioni moderne per basso tuba, ma cercavo una via filologica e così ho deciso di riscoprire il serpentone. Ed è scoppiata la passione. Uno strumento moderno è costruito per essere il più facile da suonare e il più preciso possibile. Lo strumento antico invece è pensato per imitare la voce umana: con tutte le sue sfumature e imperfezioni. Bisogna allora trovare il modo di pensare come si faceva all’epoca, e suonare a imitazione della voce. E il serpentone può essere voce di basso, baritono, tenore».
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Quando poi Godard cambia fronte musicale e vira verso il jazz si porta con sé il serpentone, che infatti compare in numerosi dischi e sui palchi di tutto il mondo. Virtù di uno strumento senza tempo, capace di passare direttamente dal Rinascimento alla sperimentazione contemporanea. «In realtà la parentela è più forte con la musica antica che con quella romantica e del Novecento, perché il fraseggio e il modo di articolare il suono, in uno strumento a fiato, sono molto simili. Con il serpentone poi riesco a esprimere cose difficili da dire con il basso tuba. Posso infatti catturare l’attenzione del pubblico suonando anche poche note. Con il basso tuba invece devo fare il virtuoso, dimostrare che uno strumento così grosso può essere agile come un flauto. Con il serpentone l’incanto è naturale. È un suono che viene dal passato, ha un fascino incredibile. E forse in questo periodo abbiamo bisogno di ritrovare questi suoni importanti, queste vibrazioni».Complice anche l’origine dello strumento, inventato in Francia alla fine del Cinquecento per accompagnare il canto gregoriano e da lì, all’inizio del Settecento, si diffonde in tutta Europa come complemento essenziale della musica sacra. Oltralpe ogni chiesa ha un serpent, e anche più d’uno, almeno fino alla metà dell’Ottocento (ma in Bretagna e Normandia l’uso è attestato fino alla Prima guerra mondiale): anche perché fino ad allora l’organo non accompagna il canto ma ha un ruolo solistico, in alternanza alla schola cantorum. Che fosse un suono sacro era riconosciuto. Mendelssohn gli affida una parte solista nell’oratorio Paulus (1836). Berlioz (che lo definiva con disprezzo uno «strumento barbarico») ne richiama l’uso ecclesiastico in tono caricaturale quando nella Sinfonia fantastica (1830) gli consegna l’intonazione un po’ sghemba del Dies Irae. «In Francia è stata una tradizione importante, lo stiamo capendo ora – continua Godard – perché il serpentone poteva anche improvvisare sopra il canto gregoriano. Abbiamo trovato a Notre-Dame a Parigi la trascrizione delle improvvisazioni, difficilissime, dei suonatori di serpentone. Io stesso in dischi e concerti ho sperimentato questa pratica».La Rivoluzione francese cambia il volto della storia, anche musicale. E per il serpentone inizia una storia “secolare”. «Il serpentone entra prima nelle bande militari e poi nell’orchestra sinfonica, di cui costituisce il basso per eccellenza fino a quando verrà sostituito dal basso tuba, delle famiglia degli ottoni. Ma all’epoca di Napoleone i complessi militari di tutta Europa avevano almeno cinque o sei serpentoni». Lo troviamo nelle partiture di Rossini, di Verdi, nel Rienzi di Wagner. Nella lotta per la sopravvivenza il serpentone viene perfezionato: non più sei fori soltanto per intonare i suoni ma una serie di chiavi che gli consentono una maggiore precisione. Ma proprio questo suo perfezionamento lo snatura. E sul serpentone cade la notte della storia.La ricerca di un timbro originale lo ha fatto riemergere. E le potenzialità dei suoi suoni “inauditi” diventano il ponte naturale che attraversa secoli di musica, come in A trace of grace, il concerto che Godard porterà il 19 maggio prossimo al festival Monteverdi di Cremona. Con il suo serpentone sul palco ci saranno la voce di Guilemette Laurens, il sax di Gavino Murgia e la fisarmonica di Luciano Biondini. «È un concerto intorno alla musica di Monteverdi. L’idea era di fare incontrare la musica antica con musicisti jazz e viceversa. Per dare la prova che un jazzista di oggi è simile a un musicista dell’epoca barocca, epoca in cui l’improvvisazione era la norma. L’idea è di suonare Monteverdi in modo filologico, accostando nuovi pezzi scritti da me, come in uno specchio. Per andare più nel linguaggio del jazz ma usando le stesse basi della sua musica. Anche perché non riesco a immaginare una melodia più moderna di una scritta da Monteverdi».
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