domenica 24 luglio 2011
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Il suo compagno di squadra nel Milan, Massimo Oddo, durante le vacanze estive ha sostenuto gli ultimi esami universitari e in autunno si laurerà. Mathieu Flamini, 27enne centrocampista francese, ma con doppio passaporto («mio padre Rolando è italiano di Vallecupola di Roccasinibalda, Rieti»), si è spinto molto più in là, arrivando fino all’ex Birmania, in Myanmar, per toccare con mano le attività e i progetti umanitari di “Medici senza frontiere” (Msf).«È stata un’amica a darmi la scossa decisiva per intraprendere questo viaggio che desideravo da molto tempo – racconta Flamini in una pausa del ritiro di Milanello – . Da sempre volevo sostenere un’organizzazione come Msf, perché opera direttamente sul campo, a contatto con la gente e con i loro problemi quotidiani».I problemi o forse sarebbe il caso di dire le “piaghe” di un Paese in cui 240mila persone sono colpite dall’Hiv/Aids e di queste 72mila hanno urgente bisogno di terapie anti-aretrovirali. Il viaggio spontaneo di Flamini, accompagnato da Fondazione Milan alla scoperta del mondo solidale di Msf, è avvenuto a fine giugno, mentre la maggior parte dei suoi colleghi calciatori se ne stavano beatamente sdraiati al sole delle spiagge vip. «Ognuno nella vita deve rispondere alla propria coscienza. Io ho sentito che era arrivato il momento giusto e che avevo trovato le persone adatte per fare questo tipo di esperienza, in cui avrei potuto mettere a disposizione un po’ del mio tempo libero e la mia sensibilità, in favore di chi soffre».Un viaggio spiritualmente intenso, «credo fortemente in Dio», dice Flamini, che arrivato nella capitale Yangoon, ha preferito mantenere quello che nel buon inglese appreso all’accademia calcistica dell’Arsenal (a 19 anni passò dal Marsiglia al club londinese) definisce il necessario “low profile”. «Sono andato lì non come il calciatore famoso, ma come l’uomo Mathieu Flamini. È stata una sfida alla quotidianità frenetica ed egoistica della vita occidentale, andando alla scoperta dei valori veri, toccando con mano la povertà, la miseria umana e il dolore della malattia di quella gente. L’ho fatto dormendo non negli hotel a cinque stelle, in cui siamo soliti alloggiare nelle trasferte in giro per il mondo, ma in una casa semplice, normale, messa a disposizione da Msf che mi ha permesso di conoscere a fondo il lavoro che i suoi dottori svolgono nei loro ospedali».Così ha visitato le 4 cliniche della capitale - Insein, Center B, Center C, la base operativa del progetto di Msf - e la farmacia centrale, in cui vengono conservati i medicinali che arrivano ogni quattro mesi dai centri di stoccaggio di Msf in Europa. «Ho conosciuto e parlato con molti malati – racconta emozionato il francese del Milan –. Dei tanti incontri, due forse sono quelli che mi hanno colpito di più. L’immagine di un bambino di due anni che dà la mano alla sua mamma mentre aspettano una visita. E poi un ragazzo magrissimo, molto malato che aveva la flebo attaccata al braccio. La nostra guida, Tom, mi ha invitato a parlargli... Io quasi mi sentivo in colpa nel disturbarlo vedendolo in quelle condizioni, ma quel ragazzo continuava a sorridermi. Era il sorriso di chi ringraziava che c’era qualcuno arrivato da lontano a chiedergli semplicemente come stai. Quel sorriso mi è rimasto dentro ed è stato di lezione: si deve essere felici anche quando si soffre, perché la vita è un dono prezioso. Questo noi europei, ricchi e annoiati da tutto, spesso ce lo dimentichiamo».Entrata vigorosa dell’uomo che in campo, come nella vita, si sente affine alla filosofia dell’equipe medica di Medici senza frontiere. «Poche parole e molti fatti concreti. Questo è lo spirito quotidiano di Msf e che anima la loro lotta all’Aids per ridurre la trasmissione del virus dalla madre al figlio durante la gravidanza. Pensare che il dramma dell’Aids passi al proprio bambino è una cosa terribile. Bisogna fare di tutto perché ciò non accada. Questa è una partita difficilissima, ma io sono convinto che uniti si può vincere».Msf i suoi successi parziali li ha già ottenuti: da quando ha introdotto la terapia anti-retrovirale l’incidenza della trasmissione del virus tra madre e figlio è scesa dall’80% al 20%. Resta però il problema dei farmaci che hanno costi elevatissimi. «Mi preoccupa il fatto che i finanziamenti si siano ridotti sia nel 2009 che nel 2010, lasciando con scarse risorse programmi come il Fondo Mondiale per la lotta all’Aids, la Tbc e la Malaria – continua Flamini – . Senza medicine a basso prezzo, l’accesso al trattamento non può diventare realtà. Ora capisco l’importanza vitale per il futuro di tanti malati all’accesso alle cure gratuite. Il diritto alla salute dovrebbe essere garantito a tutti, indipendentemente dal Paese in cui vivono».Flamini è tornato più forte da questa esperienza e lo si vede dal sorriso solare regalatogli dai nuovi amici di Yangoon, ma anche dalla corsa tonica dei primi giorni di ritiro e il primo gol stagionale nell’amichevole contro la Solbiatese. Un’esperienza che sogna di ripetere presto: «Mi piacerebbe andare in altri Paesi di cui si parla poco sui media e in cui invece c’è tanto bisogno di portare gli aiuti necessari per curare le loro popolazioni. Ogni mattina mi sveglio con due sogni da realizzare. Il primo è continuare a collaborare a questo progetto in Myanmar... Il secondo - sorride -, vincere la Champions».
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