sabato 12 novembre 2011
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​Una dedizione senza riserve e senza titubanze al gregge che il vescovo aveva loro affidato, anche a costo del sacrificio della vita. È questo il legame che unisce tre sacerdoti bolognesi, uccisi nei tragici eventi dell’autunno 1944 a Monte Sole (nel territorio di Marzabotto): don Giovanni Fornasini, don Ferdinando Casagrande, don Ubaldo Marchioni.Per loro domenica 20 alle 16.45 in Cattedrale il cardinale Carlo Caffarra concluderà la fase diocesana del processo di canonizzazione. Don Fornasini, quando cadde aveva 29 anni: era il 13 ottobre 1944. Il suo corpo con la testa staccata dal busto, rimase insepolto dietro al cimitero di San Martino di Caprara, sopra Marzabotto, fino alla primavera del 1945. Fu ritrovato dal fratello Luigi. Ora riposa nella sua chiesa di Sperticano. Nella motivazione della medaglia d’oro don Fornasini è così descritto:«Luminoso esempio di cristiana carità. Pastore di vecchi, madri, spose e bambini più volte fece scudo della propria persona contro efferati massacri, molte vite sottraendo all’eccidio... richiamando su di sé la barbarie dell’invasore». Don Ferdinando Casagrande, parroco di San Nicolò di Gugliara era nato a Castelfranco Emilia nel 1914, quinto di sette fratelli. Nei mesi più difficili tra il maggio e il settembre 1944, restò con i suoi familiari a La Quercia fino all’ultimo con abnegazione eroica: egli andava a visitare i suoi parrocchiani nascosti nei vari rifugi, fornendo aiuto materiale e conforto spirituale.Nei primi giorni di ottobre, don Ferdinando si diede a seppellire di notte e nascostamente i morti e, sia per la fatica che per la fame, era ormai disfatto. Molto probabilmente egli fu ucciso il 9 ottobre dopo essersi recato al comando tedesco per tentare di avere un permesso di cambiare rifugio per non morire di fame. Solo qualche giorno dopo, la sua salma fu ritrovata poco lontano dalla chiesa di San Martino. Il mattino del 29 settembre 1944, mentre gli uomini si precipitavano nei boschi nella vana attesa di una difesa partigiana che non sarebbe venuta, una piccola folla di spaurite persone – donne, vecchi e bambini – alle prime avvisaglie della minaccia imminente, si era raccolta all’interno della chiesa di Casaglia. Il giovane parroco di San Martino, don Marchioni, era accorso per recare conforto a quella gente indifesa. I tedeschi li trovarono riuniti in preghiera, stretti dalla paura e dalla fede: don Marchioni – 26 anni – fu ucciso ai piedi dell’altare; gli altri – più di 70 persone – furono condotti e trucidati nel vicino cimitero. Qualche giorno dopo don Ubaldo fu trovato riverso sulla predella dell’altare, con la veste sacerdotale inzuppata del suo sangue, con un piede bruciato.Dopo quasi 35 anni, rimuovendo le macerie della chiesa di Casaglia, fu ritrovata vicino all’altare una preziosa reliquia: una pisside che, osserva il postulatore monsignor Alberto Di Chio «ammaccata, contorta, ricoperta da incrostazioni, con la coppa d’argento ancora rilucente nell’interno dorato, dopo essere stata ricomposta e ripulita, conservando però intatti i segni del suo travaglio, rimane un simbolo singolare e colmo di significato per la Chiesa di Bologna».Che a Monte Sole non ha mai mancato di far sentire la sua vicinanza e la sua memoria: vedi il pellegrinaggio voluto nel 1983 dall’arcivescovo Enrico Manfredini; quello guidato dall’arcivescovo Giacomo Biffi nel 1984 quando affidò alla Piccola Famiglia dell’Annunziata di don Giuseppe Dossetti il mandato di rappresentare la Chiesa di Bologna a Monte Sole. «Noi – disse – affidiamo a questa comunità monastica il compito della orazione di suffragio per quanti hanno imporporato del loro sangue tutta la nostra regione, in montagna e in pianura, prima e dopo il 1945, vittime di ideologie contrapposte, ma ugualmente anticristiane e perciò disumane». Lo stesso cardinale Biffi aprendo il processo diocesano nel 1998 definì i tre sacerdoti «una straordinaria ricchezza della nostra Chiesa».E il cardinale Caffarra, da pochi mesi arcivescovo di Bologna, affermò: «Le vittime qui cadute ci indicano l’esistenza di un universo di valori ben più solido, ben più reale dell’universo  nel quale siamo normalmente immersi. Qui è stata affermata una forza nella debolezza, una giustizia contro la prepotenza, una carità contro l’odio, che sono le uniche ragioni per cui vale veramente la pena di vivere e se necessario anche di morire».Don Dario Zanini, storico controcorrente degli eventi di Marzabotto, ricorda con commozione la carità eroica dei tre sacerdoti e cita la frase di Gianni Rossi, il vice comandante della brigata Stella Rossa interpellato sull’intenzione della Chiesa di aprire la causa di beatificazione: «Per me erano santi anche allora perché mentre noi siamo scappati per salvarci, loro sono rimasti lì e si sono fatti ammazzare». E don Zanini sceglie il fotogramma del film di Giorgio Diritti su Marzabotto per sintetizzare tutta la vicenda: «C’è un bimbo che nasce nella bolgia della guerra; i suoi strilli vogliono imporsi sulle grida dei morenti che si spengono, per annunciare una nuova vita, quella dell’uomo nuovo che verrà».
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