mercoledì 28 agosto 2024
Il dramma degli oltre 600mila soldati fatti prigionieri dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943: una pagina di storia a lungo rimossa raccontata da Massimo Zaninelli con rigore e partecipazione emotiva
Una commemorazione degli IMI morti durante la detenzione

Una commemorazione degli IMI morti durante la detenzione - Fotogramma

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Emilio, un giovane ventenne nella Milano prebellica, si adatta alla vita sotto il regime fascista. Mentre è inizialmente incuriosito delle cerimonie e dai miti del regime, si iscrive all'università Bocconi e sogna un futuro migliore, alimentato dai sacrifici dei genitori. Emilio viene poi precettato e partecipa al corso per allievi ufficiali, incontrando difficoltà nel gestire la disciplina militare, mentre comincia a percepire il vero volto della guerra e del fascismo.

Dopo l’8 settembre del 1943, Emilio con alcuni compagni d’arme si trova prigioniero dei tedeschi, che li trattano con durezza. La vergogna di essere diventati ostaggi, invece di combattenti, è insopportabile. Emilio pensa costantemente alla fuga. Il viaggio verso la destinazione ignota dura dieci giorni in condizioni terribili. Arrivati a Finow, in Germania, gli italiani “traditori” vengono assegnati a lavori forzati in un complesso industriale. La violenza e le minacce sono all'ordine del giorno. I prigionieri sono messi di fronte alla scelta di collaborare con i tedeschi o subire ulteriori maltrattamenti. Emilio e i suoi compagni discutono delle implicazioni morali di questa scelta, con molti che rifiutano di cedere al ricatto.

L'inverno porta ulteriori sofferenze ai prigionieri, con il freddo intenso e la denutrizione. La brutalità delle guardie continua a peggiorare le loro condizioni di vita già precarie. Emilio e i suoi compagni affrontano momenti di estrema difficoltà, con la sensazione crescente di essere stati abbandonati. La fame e la fatica li portano a compiere atti di sabotaggio e autolesionismo per sopravvivere. Emilio lotta per mantenere la speranza, mentre le condizioni di vita peggiorano ulteriormente; ferito e debilitato, trova la forza di resistere. Alla fine, l'arrivo dell'Armata Rossa porta la liberazione, sebbene le sfide non siano ancora finite.

I prigionieri liberati cercano di ricostruire una parvenza di normalità, ma l’Italia del dopoguerra non vuole “vedere” la sofferenza di quei soldati finiti nei campi all’estero e li condanna a una sorta di doloroso oblio. Emilio racconta alla nipote Federica le sue esperienze di guerra e prigionia. Attraverso i documenti e le foto, cerca di far comprendere alle nuove generazioni le atrocità vissute e l'importanza di non dimenticare. Ma dovrà ancora scontrarsi con un pregiudizio ideologico che non sembra lasciare spazio alla verità storica e alla pietà.

Molti avranno riconosciuto nella storia raccontata nel romanzo "I quindici sciacalli" di Massimo Zaninelli (Marlin Editore, 304 pagine) la vicenda degli Internati militari italiani (IMI), ufficiali, sottoufficiali e soldati che furono catturati dai tedeschi dopo l’armistizio sui fronti di guerra sui quali stavano combattendo a fianco della Wehrmacht. Davanti alla decisione se continuare a sostenere o meno il conflitto hitleriano, si rifiutarono per la gran parte e non aderirono nemmeno alla Repubblica Sociale Italiana, restando fedeli al Re. In oltre 650mila furono catturati e deportati in campi di prigionia e lavoro. Venne loro tolto anche lo statuto di prigionieri di guerra – protetti dalla Convenzione di Ginevra – e ridotti a quello di “internati”.

La tragedia degli IMI rappresenta una delle esperienze più dolorose e meno conosciute della Seconda Guerra Mondiale e forse dell’intero Novecento italiano. Il numero stimato di 50.000 morti per fame, malattie, maltrattamenti ed esecuzioni evidenzia tragicamente l'immensa sofferenza subita da quei soldati che, nonostante le avversità, spesso scelsero di non collaborare con i loro carcerieri e mantennero una resistenza passiva come atto di dignità e patriottismo. Si tratta di una pagina della nostra storia recente rimasta per molti anni poco raccontata e spesso volutamente ignorata, o addirittura “censurata”, per varie motivazioni non esplicitamente espresse. La loro scelta fu di fatto antifascista e ridusse la capacità di resistenza delle forze dell’Asse di fronte all’avanzata degli Alleati. Pesò forse il fatto che erano stati comunque combattenti agli ordini del regime e poi avevano avuto un percorso doloroso e un difficile ritorno a casa, in un periodo di rinascita e ricostruzione nel quale non si voleva riandare alle tragedie belliche.

Solo negli ultimi decenni si è iniziato a fare luce su queste storie, grazie al lavoro di storici, associazioni e alla pubblicazione di testimonianze e studi specifici. Per questo il romanzo di Zaninelli (già autore di “Il dono inquietante” e “Aprendo le chiuse”) è un coraggioso ed efficace faro che illumina quei fatti in modo nuovo, attingendo a testimonianze reali ma volgendole in un racconto capace di rendere lo spessore umano degli accadimenti e la forza delle emozioni e dei sentimenti, necessariamente assenti nella saggistica storiografica.

Una storia esemplare quella di Emilio, che sino alla fine si scontra con il muro di gomma del silenzio che pesa sulla sua esperienza e su quella di decine di migliaia di commilitoni. Il romanzo diventa quindi un potente strumento di resistenza, sopravvivenza e memoria, con un messaggio finale di speranza e di importanza della testimonianza.

"I quindici sciacalli" non narra solo una parabola individuale, ma tratteggia anche una rappresentazione collettiva delle esperienze degli IMI, celebrando la capacità degli internati di resistere alle avversità, mantenendo la speranza nonostante le terribili condizioni. Inoltre, il protagonista, con il suo racconto alla nipote, sottolinea quanto essenziale sia ricordare e tenere vivi gli orrori della guerra affinché le future generazioni ne siano vaccinate. Evidenziare la brutalità e l'inutilità dei conflitti armati, mostrando come essi distruggano vite e speranze, rivela infine la forza e la dignità umana che in ogni circostanza possono essere conservate e dare senso all’esistenza anche quando i soprusi e la violenza sembrano avere l’ultima parola.

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