giovedì 30 maggio 2019
L'altare è al centro del Convegno liturgico internazionale di Bose. La centralità del tema rispetto alle configurazioni e alle trasformazioni dello spazio sacro è storica, come rivela il XV secolo
La chiesa dei Frari a Venezia con la “Pala dell’Assunta” dipinta da Tiziano (1516)

La chiesa dei Frari a Venezia con la “Pala dell’Assunta” dipinta da Tiziano (1516)

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Si apre oggi, 30 maggio, il XVII convegno liturgico internazionale al monastero di Bose, dedicato a “L’altare. Recenti acquisizioni, nuove problematiche”. Dopo l’apertura con Enzo Bianchi, Valerio Pennasso e Giuseppe Cappochin, interverranno Martin Ebner (“Dalla tavola di legno all’altare di pietra e dal triclinio al tempio”), Manuela Gianandrea ed Elisabetta Scirocco (“La nascita dell’altare cristiano”), Gianmario Guidarelli (“Organizzazione degli spazi liturgici traXIV e XVI secolo”, del quale anticipiamo una sintesi qui sotto) e Dominik Jurczak (“Eredità del barocco ed esigenze della liturgia oggi”). Nella seconda giornata parleranno Giuliano Zanchi (“Teologia liturgica e immaginario dell’altare”), Johannes Stückelberger (“La recente valorizzazione dell’altare nel protestantesimo svizzero”), Michele De Lucchi (“L’altare tra designer e produzione seriale”), Micol Forti (“Ricerca artistica e funzionalità”) e Bert Daelmans (“Altare e ambone”); sabato, prima nelle conclusioni, Jean-Marie Duthilleul e Gilles Drouin (“Altare, assemblea, battistero”), Ignacio Vicens y Hualde (“Architettura liturgica effimera”) ed Ettore Spalletti (“Arte e liturgia”).

Nel corso del XV e della prima metà del XV secolo una progressiva trasformazione del presbiterio cambia il ruolo dell’altare nel rapporto spaziale con coro e pulpito in vista di una progressiva smaterializzazione degli elementi di disconnessione con la navata (tramezzi, jubè, pontili ecc..) che soltanto dopo il Concilio di Trento scompariranno completamente. In questo senso, la visibilità dell’altare maggiore e lo sviluppo del suo arredo pittorico (predelle e pale d’altare) sono strettamente interrelati. Fin dagli anni ’30 del Quattrocento, infatti, nelle chiese fiorentine si verifica una graduale sostituzione dei polittici con tavole uniche, di forma quadrangolare o centinate, in cui la dimensione architettonica appare sia nella installazione di sempre più complesse cornici lignee, sia nella interrelazione tra lo spazio dipinto e quello reale in cui è inserito l’altare. Questo aspetto, in particolare, muta profondamente la dimensione visiva dell’altare, inserendolo nella riorganizzazione prospettica dello spazio in cui si trova. Così, un’opera straordinaria come la Pala di San Zeno di Andrea Mantegna (1456-1459), costituisce (con la sua monumentale cornice) una parte significativa dell’altare che proietta in una dimensione verticale. D’altro canto, lo spazio dipinto della pala riconfigura prospetticamente l’intero invaso gotico del presbiterio, risignificandolo in senso moderno.

L’altare si trova al centro di un riallestimento prospettico dello spazio cultuale anche nel caso di edifici costruiti ex novo, come nel caso della cappella laterale Martelli nel transetto sinistro della basilica di San Lorenzo a Firenze, dove nella Annunciazione di Filippo Lippi (1440 circa) l’architettura in cui si svolge la scena appare in perfetta continuità con quella allestita da Filippo Brunelleschi nella chiesa. In seguito a questa nuova funzione di baricentro visivo dello spazio cultuale - assunta grazie all’interazione con altre forme di espressione artistica - la forma stessa dell’altare tra XV e XVI secolo muta profondamente. La mensa diventa la base per una struttura verticale che si ispira a strutture tratte dall’architettura antica: in un primo momento si adotta la forma dell’edicola e, successivamente, quella dell’arco trionfale. La sequenza di fornici archivoltati, inquadrati da elementi verticali (lesene, semicolonne o colonne libere) e coronati da fastigi o attici consente la progettazione di strutture progressivamente sempre più complesse e monumen-tali, capaci di interagire con lo spazio della chiesa; ma permette anche la realizzazione di altari sempre più versatili dal punto di vista funzionale e capaci di accogliere non solo pale dipinte, ma anche statue, tabernacoli e urne per le reliquie. Venezia nel Rinascimento è un importante laboratorio per il rinnovamento dell’altare. Due esempi significativi, a pochi metri di distanza e quasi contemporanei sono l’altare maggiore della chiesa dei Frari e quello della chiesa di San Rocco. Nella principale chiesa dei Francescani veneziani, la realizzazione della Pala dell’Assunta dipinta da Tiziano Vecellio nel 1516 prevede una completa riconfigurazione dell’altare maggiore che, con i suoi sette metri di altezza si confronta dimensionalmente con le gigantesche arcate gotiche della chiesa.

Inoltre, lo spazio dipinto tizianesco, nella sua clamorosa spinta ascensionale, essendo visibile oltre il diaframma del coro e fin dall’ingresso, condiziona la percezione visiva dell’intera chiesa. Nella chiesa di San Rocco, l’altare realizzato nel 1517-1524 è destinato a conservare l’urna con il corpo del Santo. Qui, la struttura ad arco trionfale richiama, tramite il tema umanistico della fama dopo la morte, la funzione memoriale associata alla reliquia ma consente anche di allestire un apparato complesso e monumentale di statue. È significativo che proprio in questo momento, la struttura ad arco trionfale sia utilizzata indifferentemente per altari, per monumenti funebri e per portali, sino ad essere usata nel XVII secolo come modello monumentali per gli aron delle sinagoghe italiane. Al di là del rinnovamento formale, l’altare spesso è al centro della riconfigurazione degli spazi presbiteriali secondo dinamiche che iniziano ben prima del Concilio di Trento. Nella cattedrale di Verona, per esempio, tra il 1524 e il 1550 il vescovo Gian Matteo Giberti (1524-1543), riorganizza l’intera area presbiteriale della chiesa medievale, con l’arretramento dell’altare sulla superficie di fondo, il rinnovamento del coro dei canonici e, soprattutto la costruzione del tornacoro da parte di Michele Sanmicheli.

Questa nuova struttura è formata da una transenna di colonne architravate, disposte a semicerchio rispetto al presbiterio. Si tratta di una soluzione che garantiva contemporaneamente la relativa separazione del santuario rispetto alle navate e la visibilità dell’altare, non più nascosto alla vista dei fedeli da tramezzi o dal coro. Era almeno dall’inizio del XV secolo che la mutua relazione tra altare, pulpito e coro (conventuale o canonicale) in rapporto alla visibilità da parte del popolo dei fedeli era oggetto di numerosi tentativi di trasformazione. L’altare si trova al centro di uno spazio caratterizzato dal movimento del coro (con l’adozione del retrocoro a partire dall’ambito francescano), ma anche a ripetuti tentativi di alleggerire la divisione (acustica e visuale) tra la sezione presbiteriale e quella plebanale della chiesa, con la progressiva trasformazione del pulpito e del tramezzo. Una dinamica che troverà piena attuazione nell’architettura della Controriforma.

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