venerdì 17 gennaio 2014
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A scuola ci hanno insegnato che il Quadrilatero era il sistema difensivo delle truppe austriache – inespugnabile dal 1815 al 1866 per i nostri combattenti del Risorgimento – e che questo comprendeva le città di Peschiera del Garda, Mantova, Legnago e Verona. Per la storia del calcio invece, il Quadrilatero è quello del Piemonte orientale: Vercelli, Casale Monferrato, Novara e Alessandria. Le loro formazioni sono sorte appena dopo il club più antico d’Italia, il Genoa Cfc, fondato nel 1893. Agli annali risulta che la Società Ginnastica Pro Vercelli abbia visto i suoi natali – per volontà del professor Domenico Luppi – un anno prima del Genoa, nel 1892. Ma fu solo nel 1903 che i “bianchi” fecero il loro esordio su un campo di pallone. Per contraddistinguersi dai rivali vercellesi, a Casale nel 1909 il professor Raffaele Jaffe fece indossare ai suoi studenti-calciatori le casacche “nerostellate”. Con quelle nel 1914 – esattamente un secolo fa – il Casale Football Club vinse il suo unico e storico scudetto, interrompendo l’egemonia dei bianchi che durava dal 1908: cinque tricolori di fila. Il settimo e ultimo titolo nazionale della Pro Vercelli, sarebbe arrivato nella stagione 1921-1922: l’anno della scissione del campionato di massima serie e in cui trionfò anche la piccola e sorprendente Novese, che merita il premio di miglior club non protagonista nell’avvincente saggio di Luca Rolandi Quando vinceva il Quadrilatero. Sono gli anni delle pionieristiche “quattro sorelle”, decantate dallo scriba del fòlber Gianni Brera. Un tempo in cui, se è vero che il calcio era sbarcato – con gli inglesi – e sbocciato a Genova e che i primi scudetti erano stati assegnati in piazza d’Armi a Torino, è altrettanto provato che l’energia e la forza propulsiva del football italico si sia sprigionato in questo angolo di sana provincia risaiola. Il Quadrilatero del pallone viene tracciato da «quel filo rosso – scrive Rolandi, direttore de “La Voce del Popolo” di Torino – che unisce le vittorie dei bianchi di Vercelli all’exploit dei nerostellati di Casale, la classe pura dei grigi di Alessandria alla fierezza degli azzurri di Novara». Siamo all’alba di quell’era che Antonio Barillà aveva già solcato con fine memoria nel suo Lucentissimo, l’opposto cuoio delle scarpe e della testa (Sedizioni). Un periodo irripetibile, in cui essere dilettanti voleva dire davvero giocare per diletto, da amateur, affrontando con spirito salgariano le prime trasferte in quell’area del Nord-Ovest in cui lo spirito di campanile d’un tratto assunse l’aulico inglesismo del derby. «Fra Vercelli e Casale, Novara e Alessandria, i tifosi [ma anche i calciatori, ndr] sciamavano su biciclette e carrozzelle. Il pittoresco dialetto provinciale condiva le loro invettive già alle porte della città rivale, gli avversari li attendevano. Che pugni!», ricorda Ettore Berra, uno che ha provato il brivido d’indossare la gloriosa casacca bianca della Pro Vercelli. Lo squadrone fu creato da due uomini di cappa e di spada: l’avvocato penalista Luigi Bozino, prototipo del moderno presidente federale, e il poliedrico Marcello Bertinetti. Alla fine degli anni Venti, quando i bianchi erano già leggenda, il grande giornalista e disegnatore del “Guerin Sportivo”, Carlin Bergoglio (parente alla lontana di papa Francesco) li ribattezzò i “Leoni” (“Orsi grigi” quelli dell’Alessandria e “Cinghiali” quelli del Casale). Gli indomiti e felini oppositori della superbia metropolitana incarnata dall’Internazionale, con la quale la Pro Vercelli chiuse a pari punti il campionato 1909-1910. La coda dello spareggio segna il primo epico scontro del pallone nazionale: fissato per il 24 aprile, non andava bene ai vercellesi (Fresia, Milano II e Innocenti avevano dato la loro disponibilità per un torneo militare) che propongono il 1° maggio. La Federazione impone tassativamente il 24 aprile e il presidente Bozino è costretto ad accettare, ma manda in campo i ragazzini. L’Inter ovviamente passeggia e il punteggio finale per gli storici oscilla dal 9-3 all’11-3, ovviamente in favore dei nerazzurri contro gli acerbi ma talentuosi Ardissone e Rampini che da lì a poco avrebbero vestito la maglia azzurra. A proposito di azzurro, la Pro Vercelli a tutt’oggi detiene un record assoluto: nvoe calciatori su undici schierati nella stessa partita in nazionale (Innocenti, Valle, Ara, Milano I, Leone, Milano II, Berardo, Rampini I e Corna) e tutti nati a Vercelli. Così come vercellese doc e mito dei bianchi è stato il difensore campione del mondo del 1936, Virginio Rosetta, primo “scandaloso” professionista del nostro calcio quando nel 1923 passò alla Juventus che gli offriva un premio ingaggio irrinunciabile: 45mila lire. Vercelli scese in guerra per il suo terzino d’oro, ma la tregua fu ristabilita dietro lauto esborso – 40mila lire –, così che Rosetta divenne uno dei tanti prodotti del Quadrilatero che hanno poi fatto la fortuna di Juve e Torino. Casale ai fasti di Vercelli rispose con Barbesino, Mattea, Gallina I, Gallina II e Varese: tutti allievi dell’Istituto Leardi, passati dai banchi di scuola a laurearsi campioni d’Italia. Il professor Jaffe, orgoglioso, quella gioia se la portò con sé anche quando da un campo di calcio si ritrovò in quello di concentramento, deportato in quanto ebreo ad Auschwitz, dove morì il 3 agosto del 1944. Fra Sesia e Ticino, dopo Vercelli e Casale venne l’ora del Novara. Gli azzurri, nati nel 1908, sono stati l’ultimo baluardo del Quadrilatero: gli ultimi ad abbandonare la Serie A, nel 1956 e anche i primi a tornarci nel 2011 (ora sono in B). Azzurri e bianchi da sempre divisi dall’acerrima rivalità, ma uniti nel nome di Silvio Piola, il re insuperato dei bomber italiani (290 gol) che venne lanciato dalla Pro Vercelli e poi chiuse da monumento nazionale nel Novara. Oggi gli stadi di entrambe città portano il nome di Piola. Gioca al Moccagatta invece l’Alessandria, che milita nella vecchia Serie C (come la Pro Vercelli. Il Casale dopo il fallimento societario è ripartito dai dilettanti) e che come le altre tre sorelle si aggrappa ai ricordi dei fasti del passato. Specie di quando la “scuola alessandrina” era divisa in due correnti di pensatori con i piedi: la “mandrogna” dei maestri Enrico Badò, Almilcare Savojardo e Alfredo Ratti e l’“inglese” di mister George Smith. Bellissimo calcio quello dei grigi, che non hanno vinto niente ma in compenso in quel ventennio aureo anche loro hanno lanciato – ben prima dell’abatino Rivera, Pallone d’oro 1969 – nell’areopago calcistico prime stelle del calibro di Banchero, Carcano, Ferrari, Gandini, Cattaneo e “sua regia” Adolfo Baloncieri, che sosteneva convinto: «Con i giocatori usciti da Alessandria e oggi sparsi ai quattro venti nelle squadre italiane, si potrebbe formare il più formidabile squadrone nostro…». Una convinzione, che almeno fino al 1928, avrebbe regnato nell’intero Quadrilatero del pallone italiano. Luca Rolandi Quando vinceva il Quadrilatero 1908-1928: gli anni d’oro del calcio piemontese Bradipolibri. Pagine 178. Euro 16,00
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