martedì 7 febbraio 2023
Il racconto “Foglia di Niggle” appena tradotto apre a un tema oggi del tutto disatteso
J.R.R. Tolkien

J.R.R. Tolkien - archivio

COMMENTA E CONDIVIDI

Si torna a parlare delle cose ultime. Qualche settimana fa Giselda Adornato sulle pagine dell’Osservatore romano ricordava l’allocuzione di Paolo VI che negli anni ‘70 riportava l’attenzione sul ruolo del maligno, in un momento storico caratterizzato dall’accentuazione dell’impegno sociopolitico dei credenti. Il 15 novembre 1972 Montini si riferì chiaramente all’esistenza del diavolo con parole divenute celebri: «Il male non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa». E più avanti: «È il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana. È lui il perfido e astuto incantatore». Paolo VI in quell’occasione lamentò anche che la dottrina cattolica sul demonio fosse poco rielaborata, mentre anche da parte dei credenti si pensava di trovarne un compenso negli studi psicanalitici o in esperienze spiritiche. Ma pure il papa regnante, Bergoglio, talvolta è tornato sulla figura del maligno e nel corso della sua catechesi sugli anziani ha dedicato una riflessione alla resurrezione dei corpi, osservando che «la vita del corpo risorto sarà cento e mille volte più viva di come l’abbiamo assaggiata su questa terra». E ha aggiunto: «Come, appena usciti dal seno di nostra madre, siamo sempre noi, lo stesso essere umano che era nel grembo, così, dopo la morte, nasciamo al cielo, allo spazio di Dio, e siamo ancora noi che abbiamo camminato su questa terra. Analogamente a quanto è accaduto a Gesù: il Risorto è sempre Gesù: non perde la sua umanità, il suo vissuto, e neppure la sua corporeità, no, perché senza di essa non sarebbe più Lui, non sarebbe Gesù: cioè, con la sua umanità, con il suo vissuto». Qualcuno ricorderà poi i discorsi di papa Wojtyla su inferno, purgatorio e paradiso nell’estate del ’99, ma è curioso che una descrizione affascinante del purgatorio ci arrivi da un romanzo breve di Tolkien appena tradotto da Bompiani, Foglia di Niggle (pagine 72, euro 12). Il noto autore del Signore degli anelli in questo libretto composto fra il 1939 e il 1942 racconta la storia di Niggle e del suo viaggio nell’aldilà. Il protagonista è un pittore impegnato nel dipingere un grande quadro iniziato con una foglia, che è divenuta un albero circondato da un paesaggio di montagne innevate. Ma deve interrompere la sua opera perché il vicino signor Parish, che giudica fastidioso, si è ammalato con la moglie e gli chiede aiuto. Oltre tutto dal loro tetto entra l’acqua. Così Niggle prende la sua bicicletta alla ricerca di un dottore e di un muratore. Rientrato, ha la febbre e si mette a letto. Ripresosi, sta per tornare a dipingere quando riceve due visite: un misterioso Ispettore che definisce il suo quadro un pasticcio e il Conducente che l’avvisa che deve intraprendere un viaggio. Niggle giunge a una stazione ferroviaria, si addormenta e si sveglia in una strana infermeria, chiamata Workhouse. Riceve una medicina amara dai dottori, che gli ordinano di lavorare «alla falegnameria e alle tavole di pittura». Niggle non è molto convinto perché il lavoro gli sembra monotono, poi acconsente. D’improvviso, sente due voci misteriose che discutono del suo destino. Gli viene consentito di passare «alla fase successiva» e approda in un vasto territorio con le montagne in lontananza. Ed ecco che incontra di nuovo Parish e i due si riconciliano. Costruiscono una casa, contenti di lavorare insieme e godendo della bellezza e dei frutti della natura. Un giorno incontrano un personaggio che si fa chiamare il Pastore, che scende dalle montagne e chiede a Niggle se vuole una guida. Lui accetta e lo segue oltre le montagne. Qui si comprende come Niggle, che non era certo perfetto sulla terra, grazie alla carità dimostrata a Parish è condotto in una sorta di purgatorio. Nell’infermeria viene purificato dalle sue imperfezioni facendo un lavoro, il falegname, che non amava. Le due voci rappresentano quella della giustizia e quella della misericordia. Alla fine, Niggle dal purgatorio arriva a una terra posta ai confini del paradiso. La terra in cui lo invita il Pastore è, nelle parole del suo amico C.S. Lewis, «più in alto [e] più lontano». Finalmente può trovare la realizzazione di tutte le sue speranze. In questa «divina commedia», come spiega Tom Shippley nella postfazione, « Foglia di Niggle ha due finali: uno nell’Altro Mondo e uno nel mondo che Niggle ha lasciato. Quello nell’Altro Mondo è un finale di gioia e di risate, ma il mondo reale stritola la speranza e il ricordo. Il grande dipinto dell’Albero di Niggle è stato usato per rappezzare un buco, una foglia è finita in un museo, ma anche quello è bruciato in un incendio e Niggle è stato completamente dimenticato». Un doppio finale insomma quello di Tolkien, ma quello della grazia e della gioia evangelica pare davvero prevalere sullo scenario del male. Il male che l’Europa stava sperimentando con l’incubo del nazismo, che sopprimeva i più deboli, e della guerra.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: