mercoledì 26 gennaio 2022
Di fronte alle grandi ingiustizie, centrale l’idea di una comunità accogliente. Ecco perché non convincono le tesi di chi parla di un «ritiro» della Chiesa di Francesco dalla storia
Se il prevalere del male sfida la geopolitica

Imagoeconomica/Clemente Marmorino

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Pubblichiamo ampi stralci del capitolo conclusivo ("Ecumene cristiana ed ecumene umana") del saggio di Eugenio Mazzarella Europa. Cristianesimo. Geopolitca in uscita domani per le edizioni Mimesis (pagine 102, euro 9). L’autore - docente di Filosofia teoretica all’Università Federico II di Napoli e uno dei maggiori esperti di Martin Heidegger - delinea in tre capitoli "Il ruolo geopolitico dello "spazio cristiano", come recita il sottotitolo. Nella prima tavola del trittico - dal titolo ispirato a Novalis "Ancora una volta, cristianità o Europa" - il filosofo analizza il ruolo del cristianesimo in un’Europa che patisce una crisi del suo «dinamismo interiore». Il secondo capitolo - "La società del vivente terminale" - affronta invece i temi legati al corpo, al nascere, al morire e alla generatività.

È di un’Europa che rinasca alle sue radici cristiane e tornando a nascere, generandosi le porti e le testimoni nel mondo, che ha bisogno l’annuncio cristiano come guida alla pace dell’ecumene umana, il mondo necessario dopo due guerre mondiali invocato dalla profezia giovannea del Concilio Vaticano II. (...) Una profezia che è il terreno in cui si radica l’anima 'politica' della pastorale urbi et orbi di Francesco sulla scena dell’ecumene umana quale è oggi, negli assetti geopolitici della globalizzazione. Della 'grande politica', anche da parte della Chiesa di Roma, di cui il mondo globale ha bisogno. Una pastorale in 'uscita' dalle mura della Chiesa istituzione per capire e per andare incontro all’uomo lì dove sta oggi, nelle inquietudini di una globalizzazione, dove 'tecnica ed economia' la fanno da padrone. Dove nelle inedite possibilità che pure l’uomo ha tra le sue mani, non cessa di avanzare il mysterium iniquitatis: tra spaventose concentrazioni di ricchezza e spaventosi abissi che sono mari, mai stati così larghi, di povertà e di esclusione morale, e una terza guerra mondiale combattuta 'a pezzi e bocconi' sempre più diffusi in sostituzione del conflitto nucleare che non si può combattere. In un mondo in cui non cessa di avanzare o tener banco il 'primato' del male, dell’ingiustizia, della massima ingiustizia contro la vita, la sua negazione in fatto e in diritto, che oggi non riguarda solo più uomini singoli o in gran numero e popoli, ma l’uomo stesso, la sua presenza sulla terra che non sa più 'abitare', in cui non sa più stare al mondo. Uno stare al mondo la cui prima condizione è tenerlo aperto, il mondo, vivibile — dall’ambiente alla società — per sé e per gli altri. Vivibile all’umanità dell’uomo. (...) Per essere questa profezia dell’ecumene umana, all’altezza dell’antica sfida del male che oggi si gioca sul terreno della globalizzazione, e della 'grande politica' che questo richiede, la pastorale cristiana – sulla base dell’antivedente intuizione di Giovanni XXIII – deve profetizzare al mondo prima ancora che la sua teologia, l’antropologia cristiana, Cristo come uomo, il giovanneo uomo di buona volontà del Concilio Vaticano II come possibilità e dovere morale di tutti. (...) A questo magistero di pace – di pace tra le creature e di pace con il creato sulle 'ali della speranza' nel Signore – è ispirata la pastorale di Francesco, il suo pauperismo e la sua pastorale della pace. (...) Il motivo per cui non colgono nel segno le critiche, all’interno e fuori della Chiesa, da più parti avanzate, che la Chiesa di Francesco stia perdendo peso e ruolo geopolitico a motivo del suo proporsi oggi al mondo contemporaneo gravata dall’interiorizzazione di una 'crisi religiosa, intaccata dalla secolarizzazione e da una stagione di mea culpa'. Una critica che equipara l’introiezione di questa crisi, nei suoi effetti politici, 'al vuoto, che favorisce il successo delle forze populiste, lasciato dalla crisi profonda della principale cultura politica del Dopoguerra: quella socialdemocratica, indebolita dal ruolo marginale della classe operaia e dei sindacati'. Una tesi che se ha una sua plausibilità per gli elementi portati a sostegno (...) fondamentalmente per i Paesi occidentali in relazione alla crisi della socialdemocrazia, ne ha poca o nulla – se si slarghi lo sguardo alla scena planetaria – quando accusa la Chiesa di Francesco di essersi 'ritirata' dalla Grande Storia. Perché avrebbe abbandonato al suo destino la cultura politica cristiano-cattolica, sotto il peso dei sensi di colpa (dalle Crociate alla conquista delle Americhe, al colonialismo, all’anti-È semitismo), volgendosi 'a mettere sotto accusa l’etnocentrismo sopraffattore, la peculiare distruttività e disumanità che avrebbe caratterizzato il ruolo dell’Occidente euro-americano nei secoli: al proprio interno e ancor più al proprio esterno'. Per Galli della Loggia, che è l’autore di queste critiche, un’infausta diserzione dal temporalismo che nella storia ha fatto grande la Chiesa e l’Occidente. In un contesto di crisi interna (crisi dei propri valori) e di pressioni esterne (confronto di civiltà) che proprio in quel temporalismo, nella Chiesa come istituzione politica, avrebbe dovuto (e dovrebbe) avere la sua trincea di resistenza, piuttosto che nel puro e semplice tornare alla pur straordinarie parole dell’annuncio: 'Il mio regno non è di questa Terra'. Approccio da cui per Galli della Loggia è conseguito che, quando più serviva quella trincea, nella civilizzazione euroamericana a base cristiana 'piuttosto che l’azione storico-politica hanno occupato spazi sempre più grandi una religiosità, e nel caso della Chiesa cattolica una pastorale, orientate prevalentemente all’azione caritativa da un lato e al rinnovamento etico-spirituale dall’altro'. Un’analisi cui sfugge proprio l’orizzonte oggi della Grande Storia, perché è proprio questo ritorno all’annuncio, all’evangelo, che vuole porre rimedio alla prima debolezza interna di quella trincea, per altro da Galli benissimo individuata. La crisi cioè nello spazio, da essa perimetrato, del comunitarismo fondativo dell’ecclesia cristiana (e della sua versione laico-socialista e non solo cattolico-democratica); da un lato venuto meno a sé stesso e dall’altro, in ragione di questo venir meno, vieppiù disarmato sul piano valoriale nella crisi del welfare. E venuto meno non dal di fuori, ma dal di dentro della civilizzazione dell’annuncio che vi aveva dato una storia, la Grande Storia cristiana di cui parla Galli; dall’estenuarsi nelle società affermatesi in questa civilizzazione – l’Occidente cristiano – dello 'spirito' della persona per la 'lettera' dell’individuo, che è il vero vulnus del processo di individualizzazione così come costruitosi nella secolarizzazione moderna della civitas christiana; e dei diritti della persona storicamente promossi dalla civilizzazione cristiana. Sotto la spinta di un laicismo e di un illuminismo che si sono sempre più consegnati al primato economico del liberismo piuttosto che restare fedeli all’istanza liberale della dignità dell’individuo da cui erano nati, anche certo come autoaffermazione della 'libertà' dell’impresa economica. Una dignità dell’individuo che per essere sostantiva per tutti non può però fare a meno – è questa la verità fondante del pauperismo di Francesco – del temperamento della comunità nell’istanza della 'persona' come espressione di una comunità dell’individuo accogliente, ma anche di un individuo che nella comunità resti moralmente istanziato. Un’asimmetria tra le ragioni dell’individuo e le ragioni della comunità che nel processo di modernizzazione come enfasi dell’individualizzazione nelle società occidentali post-comunitarie (Ulrich Beck), vive della complicità tra l’istanza del massimo profitto individuale dell’homo oeconomicus e la presunta libertà di scelta, la presunta titolarità del suo 'individualismo', dell’homo consumens, come ci hanno insegnato le analisi della “modernità liquida” di Zygmunt Bauman. (...) Se questo è lo scenario, nella scelta 'religiosa' dell’annuncio promossa non da un Francesco esterno, ma da un Francesco insediato nella Chiesa istituzione, non c’è nessun puro e semplice 'ritiro cristiano- cattolico' dalla Grande Storia; piuttosto proprio l’individuazione dell’unico modo per tornare a giocarvi un ruolo da protagonisti. Un ritorno in campo all’altezza dei tempi, in cui da decenni la Chiesa cattolica sta provando a coinvolgere per altro ortodossi e protestanti. Niente di più 'politico' in senso globale quindi di questo approccio, il cui manifesto - preparato dai viaggi di Wojtyla e dal dialogo con la modernità della teologia di Ratzinger - è nell’enciclica Laudato si’ di Francesco. Un documento politico globale, che ha pochi eguali, e forse francamente nessuno, nel contrasto a una mondializzazione mercatoria agita dal capitalismo 'individuale' occidentale o da quello su esso modellato dei fondi sovrani arabi o della superpotenza economica cinese. Enciclica che ad oggi è l’unico punto di vista globale alternativo al mainstreamdei processi in atto della globalizzazione agita dallo sviluppo tecnico, e dalla finanziarizzazione – diseguagliante dei rapporti sociali – dell’economia. Un’alternativa che individua la vera sfida valoriale e politica del futuro, e l’orizzonte geopolitico non domestico-occidentale in relazione al quale va misurato il pauperismo della Chiesa 'in uscita' di Francesco. In uscita in un mondo in cui le periferie del disagio sono ormai insediate dappertutto parlare ai 'poveri' è parlare ad una possibilità spirituale o materiale, a una condizione umana, che può riguardare tutti.

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