martedì 30 agosto 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Dal 1° settembre entra in vigore la legge che fissa alla percentuale del 15% lo sconto massimo possibile sul prezzo di vendita dei libri. In questi mesi se ne è discusso molto e se ne continua a discutere, in senso generalmente positivo, pur non mancando le posizioni contrarie. Personalmente, ho già avuto modo di esprimermi a favore, considerando l’equità di una legge che cerca di conciliare in modo equilibrato interessi diversi, senza penalizzare troppo nessuno. Vorrei ricordare che, ai tempi della Commissione nazionale del libro (1997), le posizioni in merito allo sconto massimo da applicare erano tra il 10% (Associazione librai italiani, Associazione italiana piccoli editori) e il 20% (Associazione italiana editori). Come già in via sperimentale per un anno, tra il 2001 e il 2002, ora si è arrivati al traguardo di un soddisfacente punto di compromesso, il cui scopo è soprattutto quello di salvaguardare i piccoli (librai e editori) che non hanno possibilità di concedere sconti superiori a una determinata soglia, come possono fare invece i gruppi, le catene, la grande distribuzione, le librerie in internet... È pur vero che la situazione del libro nel suo complesso resta disomogenea in Europa perché, pur applicando gran parte dei Paesi dell’Unione europea il regime del prezzo fisso, per legge o per effetto di accordi tra associazioni di categoria (in Danimarca fin dal 1837, in Germania dal 1888), gli sconti consentiti variano poi da Paese a Paese, perfino da settore a settore. Del resto, sono diversi i contesti, le situazioni di mercato, l’Iva applicata ai libri rispetto agli altri prodotti (dallo 0% di Regno Unito, Irlanda e Norvegia, al 4% di Italia, Spagna e Grecia, fino al 25% di Danimarca e Svezia), i margini di redditività, eccetera. In realtà, se lo sconto in eccesso era un problema, il vero nodo per l’Italia è la più volte verificata impossibilità di riuscire a creare per l’editoria un quadro di riferimento organico nel quale tutti gli attori della filiera del libro possano trovare le condizioni di base del loro sviluppo e nel quale, al tempo stesso, la lettura riesca ad espandersi in misura significativa su tutto il territorio. Sono due linee d’intervento che devono procedere insieme, dato che non si tratta di vendere occasionalmente più libri. Si tratta soprattutto di allargare la base del mercato, ossia aumentare i lettori e renderli stabili. I numeri parlano chiaro. Se soltanto il 46,8% degli italiani dai sei anni in su ha letto nel tempo libero almeno un libro nel corso dell’ultimo anno, già in Francia (dai quindici anni in su) quella percentuale sale al 70%. Per non parlare degli altri Paesi – nordici in particolare – che hanno livelli di lettura ancora più alti. Verrebbe da dire che l’editoria, per come l’Italia è messa nella lettura e per come è difficile riuscire a promuoverla in modo solido sui tempi lunghi, fa già miracoli. A cambiare in meglio le cose ci hanno provato in tanti. A leggere le cronache librarie di fine Ottocento e d’inizio Novecento, si resta impressionati dal constatare come i problemi di oggi siano gli stessi di allora. Senza tornare indietro a quando eravamo bambini, in tempi più recenti si è tentato, con i lavori preparatori e poi con la Conferenza nazionale del libro di Torino (20-21 novembre 1997), di indicare alcune essenziali «linee d’intervento per lo sviluppo dell’editoria e della lettura». Ma tutto è rimasto lettera morta, così come le successive proposte di legge avanzate da vari deputati o la più recente (2009) proposta dei librai di detrarre fiscalmente le spese dei libri di testo e degli altri materiali scolastici. Qualcuno potrebbe osservare che, in tempi di vacche magre – anzi anoressiche –, è difficile trovare per i libri quello che non si trova per altri settori. E anche questo è vero. Salvo considerare che l’istruzione e la cultura – che per fortuna passano ancora per i libri – hanno un peso non indifferente nello sviluppo civile ed economico di un paese, come ampiamente dimostrano anche gli ultimi 150 anni della nostra storia editoriale. Il che significa che non bisogna abbandonare la speranza (e l’impegno) di poter vedere, prima o poi, qualche risultato importante e durevole.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: