martedì 28 febbraio 2012
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​La figura del prete, per anni assente dai romanzi e dai film, sta ritrovando un interesse per narratori e registi, dagli ultimi film di Clint Eastwood ai romanzi di Ferruccio Parazzoli, definendone nuovi caratteri e diverse modalità di affrontare il tema della fede. Una figura così complessa da raccontare, al di fuori di quelle che sono le caratterizzazioni correnti, incontra l’attenzione anche dei nuovi narratori. Dopo la singolare e tormentata figura di prete che è protagonista del romanzo d’esordio di Alen Custovic, Eloì, Eloì (2008), ecco che anche Marco Missiroli, nel suo ultimo romanzo, in uscita per Guanda, Il senso dell’elefante, tra i vari protagonisti, inserisce un portinaio che è un ex-prete che ha perso la propria sfida con la fede. È però nel nuovo romanzo di Alessandro Zaccuri che esce oggi in libreria per Mondadori, Dopo il miracolo, che il prete diventa figura centrale, folgorante, emblematica, in una vicenda che ruota intorno a un seminario che si trova sull’Appennino emiliano, nel caseggiato della Vrezza, scampato alla incursioni napoleoniche e donato dalla nobile famiglia che ne era proprietaria. La dimensione che lo scrittore sceglie di raccontare è quella del sacerdote in cui coesistono «la dedizione al mistero e la possibilità del dubbio», dalla quale emerge la scelta di una semplicità abissale, quella che deriva dalla figura, per Zaccuri, «pienamente moderna» del Curato D’Ars, «il santo parroco che passava giornate intere ad ascoltare i peccati del mondo. Tanto da non poterne più, tanto da desiderare la fuga». Così i suoi preti si muovono tra la necessità di perdonare e di consacrare, di riconciliare e di celebrare l’Eucarestia, «tra la consapevolezza dell’esperienza e il carisma». Zaccuri sceglie di ambientare la propria storia in un passato prossimo che gli permette la giusta distanza per definire i ritratti, morali e forti nelle loro scelte di vivere il sacerdozio, di vari sacerdoti. Siamo a metà degli anni Ottanta, un momento cruciale per la Chiesa, con la forza innovatrice del ministero di Giovanni Paolo II. Don Alberto, il giovane teologo che lascia Roma per rifugiarsi in una provincia isolata, con ansie di ribellione, tanti libri da leggere e un segreto che lo tormenta, diventa la chiave di volta di una vicenda che riporta, in un’ambientazione tutta italiana, le atmosfere e le indagini nelle profondità dell’anima di quella grande stagione che in Francia, negli anni Trenta e Quaranta, ha rappresentato una chiave di svolta grazie a narratori come François Mauriac, Georges Bernanos, Julien Green. Del resto, anche l’apparente «indagine» che attraversa il romanzo fa parte di una struttura narrativa che ruota intorno alla forza del mistero, più che perdersi nella ricerca di una facile soluzione investigativa. A confermare l’origine della tradizione cui Zaccuri fa riferimento, rileggendola nella nostra realtà odierna, sono anche gli elementi che sceglie per la struttura romanzesca; oltre al seminario, abbiamo la tragedia che colpisce una famiglia ricca e molto religiosa, quella dei Defanti, con il suicidio di Beniamino, l’ultimo dei dodici figli, avvenuto proprio nelle vicinanze del seminario; l’impossibilità di dare una risposta al fatto che il giovane sacerdote non sia riuscito a "salvare" quella giovane vita, come invece avrebbe fatto, dopo una benedizione da lui impartita, alla figlia di Maria Sole, che riapre inaspettatamente gli occhi. Vari temi attraversano il libro, da quello della realtà del "miracolo" oggi, fino a quello della perdita delle persone amate, tema che viene ripreso da Collodi e in particolare da Pinocchio quand’è di fronte alla Fata Turchina. È proprio il suo lamento ad essere scelto da Zaccuri come citazione che introduce il libro: «O Fatina mia, dimmi che non è vero che sei morto!... Se davvero mi vuoi bene… se vuoi bene al tuo fratellino, rivivisci… torna viva come prima!...». Di più sulla trama non è possibile aggiungere, proprio per non distogliere il lettore da quella continua tensione che Zaccuri sa costruire in un romanzo che si legge tutto d’un fiato, ma che ha anche una capacità rara di interrogare il lettore su questioni per nulla semplici. Del resto è proprio nelle intenzioni dell’autore quella di ritornare ad una narrativa tout court, forse perché la situazione attuale non si addice più alle grandi costruzioni postmoderne e richiede non tanto un ripensamento, ma senz’altro strumenti narrativi che rimettano in gioco la capacità di decifrare il vuoto in cui sembra di essere immersi, attraverso una chiave che privilegia il valore del "mistero", nell’accezione più strettamente religiosa. Proprio Ferruccio Parazzoli, sul sito di Satisfaction, presentando questo libro lo definisce «un romanzo del mistero, non nel senso più apparente dell’indagine, che pure viene condotta, ma in quello della fede. "Mistero della fede": quel credere che riveste di mistero ogni "avvenimento" che chiamiamo "fatto". È la crisi del reale. La realtà non esiste per se stessa, ma solo nel mistero». E ancora sottolinea: «Tutto è miracolo. Ma non è questo che conta, non è il "fatto" miracoloso ma, come bene indica il titolo, è Dopo il miracolo: ciò che il miracolo comporta per chi lo riceve. O, più semplicemente, per chi lo subisce».
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