venerdì 20 gennaio 2023
Una mostra indaga l’universo protoindustriale dell’area veneta dopo il Medioevo: un crogiuolo di saperi, tecniche, risorse dal cui sviluppo venne la ricchezza che alimentò e sostenne l'architetto
Andrea Palladio, Villa Emo in Fanzolo a Vedelago (Treviso), 1559-1565

Andrea Palladio, Villa Emo in Fanzolo a Vedelago (Treviso), 1559-1565 - WikiCommons

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Il Nord-Est, quello della miriade di fabbrichette operose la cui immagine occupa da qualche decennio il dibattito economico e politico, fra tensioni autonomiste e pragmatismo imprenditoriale. In realtà il Nord-Est è sempre esistito, sia pure con caratteristiche un po’ diverse da quello di oggi; ha almeno mezzo millennio di vita il tricorno Veneto, Friuli e Trentino, e aveva nel primo corno il motore trainante già nel tardo Medioevo, grazie anche alla brillante cultura economica e all’agevolazione del territorio pianeggiante. A questa associazione fra economia, tecnica, cultura e politica guarda la mostra L’architettura protoindustriale del Veneto nell’età di Palladio (Vicenza, Palladium Museum, fino al 12 marzo). Mostra di arte, architettura, imprenditoria e comunicazione che si coagula attorno alla palese, ed esibita con orgoglio, forza “produttiva” raggiunta dal territorio veneto nel secolo del grandissimo architetto. Mostra che, sebbene in totale autonomia e a distanza di otto anni, continua un filone di studio sui legami fra territorio e cultura materiale seguito già dalla rassegna Acqua e cibo a Venezia, allestita nel 2015 a Venezia in Palazzo Ducale, dove si studiavano i rapporti fra ricchezza, la Laguna,e il cibo quale emblema della prosperità veneziana: banchetti “smisurati” e sfarzosi, vera e propria cultura della nutrizione favorita dall’acqua, cui corrispondeva un’architettura dell’alimentazione. Dirò fra poco di questa mostra, allestita dal Centro internazionale Andrea Palladio di Vicenza per celebrare i propri dieci anni di vita, sotto la cura di Deborah Howard, che proprio sulle acque del Bacchiglione e del Sile naviga per mostrare l’ingegnosa articolazione del “sistema produttivo”, come si dice oggi, che incentiva anche l’urbanizzazione di aree agricole e i movimenti demografici (con alti e bassi). Tuttavia, una domanda sottilmente polemica nasce nel momento in cui lo storico dell’università di Padova, Francesco Bianchi, e la curatrice della mostra, Deborah Howard, professore emerito di storia dell’architettura all’università di Cambridge, concordano sul fatto che lo sviluppo “industriale” favorì una floridissima economia manifatturiera (Bianchi definisce Venezia all’epoca «un immenso emporio» di merci, capitali, tecniche e saperi) con profitti enormi il cui frutto maggiore e duraturo furono le ville palladiane (stile che tanto piacque a Thomas Jefferson, che lo importò in America anche se non vide mai dal vero nessuna architettura di Palladio). Quando guardiamo Villa Emo e le altre non dovremmo pensare soltanto alla bellezza, ma al retroterra che generò un segno estetico così forte; e chiediamoci perché il Nord-Est di oggi, ugualmente ricco, non lascia invece dietro di sé una immagine artistica e architettonica paragonabile. Esiste forse una carenza culturale che l’economia di oggi, in genere molto prosaica negli obiettivi e nelle spinte motivazionali, non sa colmare (e nemmeno forse lo vuole)? La mostra mette il luce con una costruzione essenziale e puntuale il rapporto fra territori – le quattro città pianeggianti : Padova, Vicenza, Treviso, Verona – e le eredità di una cultura tecnica e antropologica che ha le sue radici nell'alto Medioevo (il catalogo, edito da Officina libraria, è la messa a punto di lunghe ricerche d’archivio su documenti poco o mai esaminati). Invenzioni come l’orologio meccanico, il cannone, gli occhiali, la stampa, l’ingegneria delle acque (ruote idrauliche), consentono dopo il XIV secolo un rilancio in grande stile del manifatturiero. Mulini di terra e natanti danno l’energia che serve per lavorare il tessile, le pelli e il cuoio; per produrre la carta che favorirà, tramite le incisioni, una diffusione del sapere; l’ideazione di macchine per le segherie, l’industria mineraria; insomma, l’incremento delle fabbriche procede alla pari con nuovi macchinari attorno ai quali si modellava un’architettura, come sottolinea Howard, fatta di edifici semplici, a basso costo e senza pretese monumentali, ma con una funzionalità complessa. Le ricerche in archivio hanno consentito di capire, per esempio, come venne regolato il diritto d’uso delle acque. La stampa, invece, attraverso le immagini generò rapidamente un mondo nuovo, anticipando di oltre due secoli la cultura dei saperi pratici al centro dell’Encyclopédie. Tutto questo, nota la studiosa, restrinse il divario fra techne ed episteme, cioè tra sapere pratico e pensiero scientifico. Uno dei sintomi fu la proliferazione dei brevetti, oggi più difficile da studiare perché l’archivio dei modelli con la caduta della Repubblica veneziana nel 1797 venne distrutto.

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