giovedì 23 maggio 2024
La battaglia finale è un abbaglio che soddisfa solo l'ambizione e la fame mediatica di adrenalina. Lo sforzo di estinzione è destinato a generare un nucleo di nuova violenza
Una colonna di fumo dovuta al bombardamento israeliano su Gaza

Una colonna di fumo dovuta al bombardamento israeliano su Gaza - Ansa

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Il mito della guerra finale non risparmia nessuno e rivela puntualmente tutta la sua inconsistenza, nutrita unicamente dall’ambizione del condottiero di turno che pretende essere l’uomo del destino. La colpa non è del tutto sua, in fondo. La responsabilità è condivisa con la schiera di coloro che da quel potere attingono privilegi e deleghe a cascata via via più irrilevanti mano a mano che si scende nel precipizio in cui l’irradiazione salvifica si spegne progressivamente per affogare nelle paludi della insignificanza in cui le masse si voltano e rivoltano senza realmente aspirare a cambiare alcunché. Forse non potrebbero nemmeno e grazie alla sapienza acquisita origliando qua e là in secoli di rassegnazione sanno fare di necessità virtù ora in una direzione ora nel suo contrario, indifferenti a tutto tranne che al borbottio del proprio stomaco inquieto, quasi sempre vero e unico motore delle scelte. Se cancellare un popolo è impossibile, come le esperienze più ostinate e feroci dimostrano rimbalzando il primato di ignominie indicibili, a maggior ragione è impresa destinata a fallire il voler far piazza pulita di pensiero e ideologie, non importa se giuste o sbagliate, non importa quanto strumentali o sincere, nessuna differenza di colore e forma. Se una battaglia va fatta al riguardo, è una battaglia di superamento, una battaglia sottile del porta a porta, della risonanza insistente e instancabile di proposte alternative trasmesse per osmosi di vita vissuta e non negata, una battaglia che richiede tempo perché il suo oggetto è così irriducibile che non ne vuol sapere di bombe, che siano nucleari, intelligenti, stupide, chimiche, a grappolo. Si macellano la carni, si distruggono le case, si radono al suolo città e paesi ma per assurdo tutto questo sforzo di estinzione dell’altro rischia di trasformarsi nel nucleo intorno a cui si addenserà con ancora più forza il residuo incancellabile dell’idea che riecheggia in altra carne, in altre case, in altri spazi.
Non è questione di giustizia, sul cui rasoio non so in quanti sarebbero capaci di muoversi come la lumaca del Colonnello Kurtz in Apocalypse Now, senza tagliarsi. È questione di metodo. Il metodo della battaglia finale, della guerra santa, della vendetta senza fine, non funziona, non funzionerà mai. Eppure questo non serve a illuminare un solo istante di tutta la sarabanda mediatica e strategica, evidentemente interessata ad altro. La verità, o almeno una sua approssimazione sufficientemente credibile, è che il mondo è profondamente cinico, e lo è ancor più quando si profonde nelle difese ipocrite e a tutto campo dei valori umani, dei diritti, delle fedi, della inclusione, per poi eccitarsi dei fervori più variegati nella violenza e il suo spettacolo. Il sottotesto, nemmeno tanto nascosto dai riflettori che trasudano adrenaline di rimando del bel servizio e relativa drammatizzazione in studio, è che ognuno, per quel che può, si occupa del suo, e per il suo è disposto praticamente a qualunque compromesso e sopruso, meglio ancora se esercitato da terzi, meglio ancora se dissimulato in una infinità di bei propositi. Cosa rimane di Pol Pot o dei massacratori del Ruanda? O, per tutti, dei nazisti che volevano estirpare l’ebraismo dalla faccia della terra? Ma anche di Cesare, auto-osannato nel De bello gallico, con qualche centinaio di migliaia (ma egli stesso si vantava di un milione) di antenati francesi sulla coscienza.
Gli esempi sono tanti anche nell’altra sponda che si considera giusta e per questo con licenza di devastazione; quale è l’eredità delle guerre preventive contro gli stati canaglia, quale il prezzo di due bombe atomiche, sganciate con la spensieratezza di un party da college da ragazzi inebriati di mitologia dei vincitori democratici a cui il conto di una evaporazione di massa non verrà mai presentato? Gradi progressivi e variegati di infamia nei secoli dei secoli, senza che questo abbia portato a nulla di definitivo dal loro punto di vista, se non una infinità di morti cui però sono subentrati i vivi a ribaltare l’esito scontato dei massacri. Senza che questo abbia abolito le ideologie alla base di terrorismo e sopraffazione, né di colonialismo e conquista, rivalsa e furto. Per qualche ragione scritta nella natura intima di ciò che siamo, la carne resiste, rinasce, si moltiplica e in essa continua a ribollire ogni idea e istinto che si voglia semplicemente eliminare, che anzi proprio per questa ragione trae forza dal sangue, qualunque sangue, di colpevoli e innocenti, il cui colore e sostanza non permette tante distinzioni una volta versato.

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