giovedì 20 aprile 2023
Parla l'autore di "L'Antimondo": «La tecnologia non basta a spiegare la rivoluzione digitale. L’intelligenza artificiale darà una definizione di cio che è umano»
Il filosofo e scrittore Nathan Devers

Il filosofo e scrittore Nathan Devers - WikiCommons

COMMENTA E CONDIVIDI

Qual è il legame tra le nostre esperienze digitali e la vita fisica? Come ci incontreremo nei mondi immateriali? Quale impatto avrà il futuro sulle nostre identità? Tutte queste domande sono al centro di un romanzo di Nathan Devers, L’Antimondo (pagine 252, euro 18,50), appena pubblicato da Edizioni E/O, ma sono anche al centro di un ciclo di conferenze sull’intelligenza artificiale che si sta tenendo in questi giorni a Roma, in collaborazione con l’Ambasciata francese presso la Santa Sede, intitolato “L’intelligenza artificiale è un’opportunità o no per l’umanità?”. Nathan Devers sarà protagonista dell’incontro di oggi: 26 anni, filosofo, quattro libri, insegna all’università di Bordeaux ed è braccio destro di Bernard-Henri Lévy. L’Antimondo è un racconto del nostro tempo attraverso la lente della tecnologia, ma anche un’indagine che vuole rispondere a una domanda: cosa ne sarebbe del nostro essere e della nostra morale se rimettessimo in discussione la concezione stessa di realtà?

Parto dal suo libro: «A differenza di Bill Gates, Elon Musk, Mark Zuckerberg o Steve Jobs, Adrian Sterner non prendeva ispirazione da utopie futuriste ma dalla lettura del libro più vecchio del mondo, la Bibbia». Che rapporto c’è per lei tra tecnologia e religione?

Penso che se vogliamo capire questa cosa non dobbiamo prenderla dal punto di vista dell’economia, né dal punto di vista del potere, ma dal punto di vista della conoscenza religiosa e dei legami tra le persone e Dio, e tra le persone nella società. E penso che da questa prospettiva possiamo dire che oggi i social network, la rivoluzione digitale, hanno creato e creano una nuova configurazione dei legami nell’umanità.

Nel libro lei parla di «una nuova terra, puramente spirituale». È possibile in un mondo così denso di tecnologia?

Non credo che l’evoluzione tecnologica abbia un’origine tecnica. Penso abbia la sua causa in una rivoluzione spirituale. Quindi, con il metaverso, la tesi è dire che sia una continuazione del motivo spirituale. Anche per Heidegger sarebbe un errore pensare che la tecnologia non sia un progetto spirituale e filosofico.

Da una parte c’è il digital divide, dall’altra la generazione Z immersa nella tecnologia. E poi c’è una generazione di mezzo, i millennials. A chi pensava quando ha scritto questo libro?

Stavo pensando prima di tutto alla mia generazione. Volevo descrivere in prima persona una situazione paradossale, perché sono cresciuto alla fine degli anni ’90 e durante la mia infanzia sono stati inventati i social network. La mia generazione penso sia a cavallo tra due mondi, due realtà, e la mia vera riflessione è sulla prossima generazione, quella che ha cinque o dieci anni in meno della mia, perché non c’è grande divario, ma la differenza è enorme, perché questa generazione, più giovane di me, non conosce e non ricorda un mondo diverso.

Il metaverso sta cambiando molte cose. Quali quelle buone e quali i pericoli?

La cosa negativa credo sia la difficoltà a misurare la realtà. Si può stare tutto il giorno a casa senza uscire ma al contempo esplorare il mondo, viaggiare, incontrare persone, andare all’università, visitare musei. Questo aspetto crea un’enorme solitudine, perché è la soppressione della nozione di mondo pubblico e la moltiplicazione di mondi individuali. Gli aspetti positivi sono le innovazioni nella scuola. Se pensiamo allo studio della storia non è la stessa cosa imparare leggendo manuali o vedere per esempio Roma ricreata in un mondo virtuale. Queste esperienze, che poi sono anche al centro del mio libro, saranno sempre più interessanti, perché di fatto permettono di viaggiare nel tempo.

Un tema di cui si parla è anche quello della dipendenza da tecnologia.

È un tema difficile perché credo che sarebbe impossibile e davvero limitante dire che dovremmo disconnetterci, perché sarebbe impossibile farlo, ma viviamo in un mondo che è saturo di collegamenti. La dipendenza penso sia impossibile da evitare. Penso la questione sia riconciliare, non cancellare. La mia volontà, quando ho scritto questo romanzo, era cercare di creare uno spazio di riconciliazione. Dopo la pubblicazione mi ha reso felice sapere che studenti, che di solito non leggono libri perché passano il loro tempo su internet, l’hanno letto e apprezzato. È stata una soddisfazione e penso dovremmo cercare di conciliare così. Lo vedo anche su Instagram. Ci sono molti account di poesia, per esempio, che hanno numerosi follower. Penso l’obiettivo sia fare in modo che queste due vite siano sempre più collegate.

A proposito di questo, Vangel, uno dei personaggi del libro, è un poeta, qual è il suo rapporto con la poesia?

La poesia per me è la sublimazione del linguaggio. Credo che in un romanzo ci siano molte cose che si possono dire, ma molte altre dove non arriva la prosa e questo è stato il motivo che mi ha spinto a inserire alcune poesie tra i capitoli. Queste poesie erano ciò che il capitolo non poteva spiegare.

Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale, quali sfide vede per il futuro?

Una sfida meravigliosa, perché l’intelligenza artificiale è una rivelazione. La macchina può imitare la mente umana e la cognizione umana, e non solo imitare; a volte può fare meglio. L’intelligenza artificiale ci pone però di fronte a un tema filosofico. Il problema è l’esistenza di un divario tra la coscienza funzionale e la coscienza fisica. Penso che alla lunga l’intelligenza artificiale ci darà una definizione migliore e più accurata di ciò che è proprio dell’uomo.

Il tuo libro si apre con un suicidio filmato in diretta. Si è molto parlato di questo tema in passato. Come si può impedire?

Internet e i social sono illimitati. Gli utenti possono fare o dire assolutamente quello che vogliono e questo modello è un modello pericoloso. È un ritorno alla legge della giungla. Penso che questo modello di libertarismo sia pericoloso ma lo è anche il suo opposto, ovvero un modello di forte regolamentazione. Anche le interdizioni possono essere pericolose, se vediamo la configurazione di un social network quando l’algoritmo può decidere di cancellare tutti i contenuti e gli account che vuole. Perciò credo sia necessario creare uno spazio di fiducia.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: