sabato 18 dicembre 2021
Parigi ha restituito recentemente al Benin il trono di re Behazin e altri pezzi d’arte, razziati nel 1892. È soltanto l’ultimo caso di reimpatrio di opere arrivate in Europa con il colonialismo
Alcune delle opere del tesoro del palazzo di Abomey (qui ancora nel museo di Quai Branly a Parigi) riconsegnate alla Nigeria

Alcune delle opere del tesoro del palazzo di Abomey (qui ancora nel museo di Quai Branly a Parigi) riconsegnate alla Nigeria - Ansa

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«Bentornati a casa», gridavano di gioia i residenti di Cotonu, capitale commerciale del Benin, durante la sfilata dei camion contenenti alcune opere d’arte tradizionali arrivate dalla Francia. Dopo circa quattro anni di negoziati e 130 anni di assenza, 26 oggetti saccheggiati dai colonialisti francesi durante il XIX secolo si ritrovano da novembre sul territorio in cui sono state prodotte. Il fenomeno della “restituzione” sta diventando una realtà in vari Stati del continente che desiderano riappropriarsi di ciò che gli era stato preso di forza in passato dalle ex potenze coloniali. «Siamo all’inizio di un processo storico e inedito – ha dichiarato Jean-Michel Abimbola, ministro della cultura beninese –. È importante che il patrimonio africano conservato in Francia e in molti altri Paesi europei per decenni torni finalmente in Africa». Statue, abiti, gioielli, utensili e molto altro sono stati oggetto di ruberie da parte di politici, uomini d’affari e soldati delle colonie europee impiantate sul continente nero per sfruttare le ricchezze locali. In seguito all’occupazione militare di vaste aree alcuni hanno riconosciuto il valore delle opere d’arte in mano a leader tradizionali o persone comuni del tempo. Tra quelle maggiormente ambite c’era il trono del Re di Behanzin, confiscato dai francesi nel 1892 in seguito all’assalto del palazzo di Abomey, capitale del modesto regno di Dahomey che era durato per tre secoli a partire dal 1600 circa. Behanzin aveva guidato diverse rivolte contro i colonialisti per evitare l’occupazione del territorio a cui partecipava il famigerato generale Alfred Dodds, ma si trattava di una serie di conflitti ad armi impari: l’esercito francese era infatti riuscito a sopraffare i guerriglieri del regno grazie all’uso di armi da fuoco più sofisticate e alle divisioni che caratterizzavano le comunità locali. Il trono reale, conservato fino a qualche settimana fa nel museo parigino di quai Branly intitolato a Jacques Chirac, è un’opera emblematica la cui struttura in legno è compatta ed elegante, di colore marrone scuro e con il sedile ricurvo e decorato. Dopo aver esiliato il re Behanzin, Dodds ha deciso di regalare questo e altri oggetti reali a un suo amico, l’ammi- raglio Henri Rieunier, allora ministro della marina. Più della Francia è la Germania che si è detta pronta a restituire «centinaia di oggetti d’arte del Palazzo reale del Benin» comprati sul mercato internazionale, presenti da decenni nei musei tedeschi, ma saccheggiati nel 1897 durante l’occupazione britannica della località che oggi si chiama Benin City, nel sud della Nigeria. «Abbiamo una responsabilità morale rispetto ai tesori africani di cui si sono appropriati i colonialisti – ha commentato Monika Grütters, ministra della cultura tedesca –. A Benin City è in corso la costruzione dell’Edo Museum of West African Art che sarà terminato tra circa cinque anni». A capo del progetto (che sarà realizzato in collaborazione con il British Musuem) c’è il noto architetto angloghanese David Adjaye, autore tra l’altro dello Smithsonian national nuseum of African-American History and Culture di Washington. Tra gli oggetti ci sono decine di opere in bronzo e la decisione tedesca di restituirle fa pressione anche sul British museum di Londra che ne possiede almeno 700 nelle sue collezioni di bronzi nigeriani. In Nigeria, secondo gli esperti, ne sono rimasti solo una cinquantina. Una sorta di “caso Partenone” africano. Altri tre oggetti sottratti nello stesso luogo e periodo, e che hanno almeno 400 anni, verranno invece riconsegnati alla Nigeria dal Metropolitan Museum of Art di New York. Fanno parte di una collezione di oltre 150 opere che Klaus Perls aveva dato al museo statunitense all’inizio degli anni Novanta e che annoverano le note “teste di Ife” in ottone, placche, oggetti in avorio scolpito, maschere, gioielli e strumenti musicali. Man mano che il fenomeno della restituzione si allarga e concretizza, altri Stati africani hanno iniziato a fare richieste. La Repubblica democratica del Congo pare stia negoziando dietro le quinte con la sua ex potenza coloniale, il Belgio, per approvare un piano adibito alla restituzione degli oggetti presi “in maniera illegittima” per decenni. «Non ci appartengono – ha detto più volte Guido Gryseels, direttore del Royal museum of Central Africa nella località belga di Tervuren –. Le cose rubate o acquisite con la violenza dovrebbero essere ridate». Anche Etiopia, Senegal, Mali e Camerun stanno iniziando a farsi sentire ma ci vorranno anni se non decenni affinché questa politica culturale e pure economica diventi davvero operativa. La questione d’altronde è molto dibattuta nella stessa Africa. Gran parte degli artisti africani, per esempio, si trovano divisi rispetto al fenomeno della restituzione. Secondo i critici del settore, tanto africani quanto europei e americani, tra le varie preoccupazioni c’è il problema della conservazione in un museo africano che potrebbe non essere sufficientemente attrezzato per proteggere tale patrimonio. Anche per questo è prevista la costruzione di nuovi musei o il restauro di edifici che avranno il compito di ospitare le opere d’arte. «Trovo che etichettare i musei africani come incapaci di conservare le opere d’arte faccia parte dei soliti pregiudizi ignoranti sul nostro continente – taglia corto Cecile Zinsou, direttrice del museo presso la Fondazione Zinsou a Cotonou e attiva sostenitrice della restituzione –. Con queste persone non spreco tempo a discutere». Al momento le opere arrivate in Benin dalla Francia pare riposino in una villa del presidente beninese, Patrice Talon. Dal freddo sono infatti passate in qualche ora all’umido di Ouidah, la località costiera da cui per secoli sono partiti milioni di schiavi verso l’Occidente. Il museo di Abomey è in corso di ristrutturazione e, se tutto procederà come previsto, i visitatori potranno ammirare il patrimonio restituito nel suo luogo d’origine.

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