sabato 30 aprile 2022
Quello che era uno dei presupposti del lavoro scientifico, dopo la pandemia è diventato strumento condiviso con l’opinione pubblica. La convivenza fra scienza, società e democrazia è tema del futuro
Proteste contro i brevetti ai vaccini giovedì scorso davanti alla sede di Moderna a Cambridge, Massachusetts

Proteste contro i brevetti ai vaccini giovedì scorso davanti alla sede di Moderna a Cambridge, Massachusetts - Ansa

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Sono tanti i lasciti di due anni di pandemia e su tutti una certa immagine della scienza. L’Atlantide scientifica animata da certezze e buone intenzioni (Francis Bacon, La Nuova Atlantide, 1624-1627) è una speranza che ha illuso generazioni di scienziati, almeno implicitamente. Pare però che oggi questa immagine sia più faticosa a difendere. L’esperienza pandemica ha sollecitato in molti la domanda se quella scienza universale, neutrale, comunitaria, capace di organizzare il dubbio e governare l’incertezza esista davvero. Cosa sia la razionalità scientifica, cosa possa garantire e cosa deve promettere sono domande che non interessano solo chi si occupa di scienza e lo fa da filosofo. Sono domande che interessano ogni scienziato e soprattutto ogni comune cittadino. Alcune tappe nello sviluppo del pensiero scientifico del Novecento meritano di essere menzionate perché restituiscono il contesto in cui collocare la scienza all’epoca della pandemia. Il ritmo rivoluzionario delle nuove grandi teorie scientifiche del XX secolo (fisica quantistica, teoria della relatività, evoluzionismo della nuova sintesi moderna, scienze della complessità) è stato accompagnato da un proficuo sforzo di capire i fondamenti logici e ontologici della scienza. Tale sforzo è stato arricchito, talvolta criticato, dalla consapevolezza che buona parte dei concetti che compongono l’edificio di una teoria scientifica è segnato dal contesto storico, dalla percezione soggettiva di chi elabora la teoria, da bias cognitivi e molto altro. L’immagine dell’impresa scientifica diventa tanto ampia e articolata da spingere a indagare la sua interazione con la società. Nella seconda metà del Novecento si consolida così un interesse sociologico verso la scienza. È dunque davvero vasta e articolata la riflessione che gli Anni Zero ereditano. L’idea di una scienza neutrale, universale e aperta in virtù del suo stesso metodo e l’ethos democratico che ne deriva ha iniziato a fare i conti con una nuova maturità epistemica. La scienza è cosa complessa, e la rende ancora più complessa la rivoluzione dell’informazione. Capire oggi cosa sia la scienza è capire anche la nostra società (M. Tallacchini, N. Pitrelli, Nuova scienza nuova politica. Per una democrazia della conoscenza, Tricase -LE2021). Non a caso Ulrich Beck ( La società del rischio, 1986) denominava la nostra epoca come età della scientifizzazione riflessiva: il dubbio, motore naturale della ricerca scientifica, è traghettato al di fuori delle comunità di esperti, e la scienza oggi condivide con il grande pubblico certezze e incertezze. La convivenza tra scienza e società diventa allora oggetto di studio non più soltanto storico ed epistemologico. Diventa questione di interesse collettivo. Giudicare la responsabilità di un algoritmo o di un comportamento dannoso per l’ambiente e per la salute umana interpella non solo i giuristi, ma anche i comuni cittadini (L. Cori, S. Re, F. Bianchi, L. Carra, Comunicare ambiente e salute Aree inquinate e cambiamenti cli- matici in tempi di pandemia, Pisa 2021). Capire la scienza diventa prioritario per consentire al cittadino di giudicare forme differenti di governance e mantenere la dimen- sione democratica delle istituzioni civili. Come coinvolgere, però, i cittadini di fronte a questioni che solo gli addetti ai lavori capiscono? Come garantire la cosiddetta 'cittadinanza scientifica'? Le knowledge-based society hanno nella Rete lo strumento che può diffondere conoscenza, inclusa la conoscenza del grado di incertezza di una ricerca e dei suoi risultati. Una scienza aperta e inclusiva verso il grande pubblico è una scienza che si mette in gioco, tenendo conto delle soft skills (delle abilità personali) nei canali della comunicazione che allo scienziato non sono richieste in senso stretto. Ne va della necessità di professionisti della comunicazione scientifica da una parte, e dall’altra ne va di nuovi diritti del cittadino. La cittadinanza scientifica si sagoma su una duplice interfaccia di diritti tra scienza e cittadino. Prima di tutto, quella del diritto a essere messi in condizione di comprendere uno specifico contenuto. Un secondo aspetto rimanda a un diritto che va identificato bene, perché più sfuggente: il diritto ad acquisire i criteri epistemologici per contestualizzare le informazioni scientifiche specifiche, per capire il metodo che le produce, per orientarsi nel grado di certezza a esse conferite, per collocare la loro fonte. In breve, serve una patente epistemologica che dia contesto ai contenuti specifici, servono epistemologi disposti a comunicare. Nuova immagine della scienza, nuovi doveri da parte di chi informa, nuovi diritti del cittadino. L’intreccio tra competenze scientifiche e comunicative si fa sempre più fitto.

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