mercoledì 28 luglio 2021
Un dialogo tra un artista e uno storico dell’arte al cuore della creazione: «Sintetizzare non è il riassunto di una analisi razionale ma accedere a una intuizione unitaria, propria delle religioni»
“Alexander Calder, Saché, 1963”. Ritratto fotografico di Ugo Mulas

“Alexander Calder, Saché, 1963”. Ritratto fotografico di Ugo Mulas - Eredi Ugo Mulas

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Anticipiamo una sintesi del dialogo che lo storico dell'arte Paolo Bolpagni, direttore della Fondazione Ragghianti, e l'artista Raul Gabriel terranno domani a Lucca (Ristoro San Salvatore, Mura urbane, ore 18.30) nell'ambito del Festival della Sintesi.

Raul Gabriel: C’è una relazione tra analisi e sintesi? Ovvero: sintetizzare è il frutto di un’osservazione dettagliata della struttura, per poi decidere che cosa togliere e che cosa no? La mia risposta è no. L’analisi è un processo assimilabile a una disamina degli elementi privati di flusso: come se fossero componenti di un puzzle da scomporre e ricomporre a piacimento. Questo procedimento è il frazionamento, la dissezione della struttura a fini classificatori, ma esiste su un altro piano rispetto al procedimento vivo del “fare struttura”. L’analisi produce disiecta membra, dissezionate e congelate in un istante che ne inibisce ogni futura relazione, mentre il processo di sintesi ne è l’essenza.

Paolo Bolpagni: Per ragionare sul concetto di sintesi mi avvarrò di un riferimento privilegiato alla musica, linguaggio “astratto” ma architettonico, e in particolare al problema dell’interpretazione. Un particolare approccio (ma il discorso si può estendere ad altri settori), è quello dell’“interpretazione frammentaria”, che, per tenere sotto controllo ogni dettaglio della partitura, impone soltanto una minuziosa analisi del testo, ma, così facendo, tralascia di rifondere il tutto in un unico crogiuolo. È un modo di procedere superficiale, che vuol essere fedele alla lettera in maniera maniacale, rispettandone formalmente ogni minimo aspetto. In realtà, però, i particolari sono soltanto l’inizio nella comprensione di un’opera, in quanto elementi contingenti determinati da una visione globale a essi immanente: considerati isolatamente, al di fuori della struttura di cui sono fattori integranti, possono per di più prestarsi a un’interpretazione emotivistica. Infatti il testo musicale presenta indicazioni in prevalenza sommarie e allusive, che spesso non forniscono indizi esatti per determinare con precisione l’intensità, la dinamica, il fraseggio.

RG: La disarticolazione analitica diventa inevitabilmente territorio esclusivo di un’entropia controllata, reversibile soltanto in teoria, come nel paradosso della mucca che, trasformata in macinato, potrebbe tornare, in condizioni speciali, a ricomporsi nella mucca di prima. In realtà lo smembramento della struttura la priva di qualcosa di molto più focale della mera addizione delle parti. L’unità, la mucca (ovvero l’opera), non è una somma algebrica di frazioni, ma un processo di sintesi, appunto, che genera un’altra identità, la quale è somma delle parti e al tempo stesso dotata di una specificità del tutto peculiare. Nell’arte, come nel pensiero, questo avviene attraverso un processo inconscio, grazie a un “talento”, che non è mai la conseguenza di una analisi. L’analisi, pur utile, non serve alla strutturazione di un corpo unitario. Scompone molteplicità divise in un processo che perde definitivamente ogni proprietà del corpo unico.

PB: Se proseguo il ragionamento nella metafora musicale, si aprono così due strade: da una parte quella dei pedanti, che si limitano a mettere in pratica i pochi cenni lasciati dall’autore, che, nel caso di opere preclassiche, sono davvero insufficienti. Dall’altra, la modalità che, considerando isolatamente i particolari, non si cura di ricostruire e riproporre la visione d’insieme che guidava l’autore durante la creazione. Di conseguenza, venendo a mancare una comprensione profonda e complessiva della composizione, si apre ancora una volta la via alla concezione individualistico- emotivista, secondo la quale l’interpretazione dipende esclusivamente dal gusto personale. Infatti, non potendo i particolari condurre alla comprensione del significato globale dell’opera, l’esecuzione di ogni passo è lasciata in balìa delle preferenze soggettive e talvolta estemporanee dell’interprete, che per di più ha magari la pretesa di ritenere razionale e fondata la sua scelta.

RG: Sintesi non è sinonimo di semplicità. Sintesi è la capacità di fare della complessità il corpo unico di un evento originale. Per noi sintetizzare è sinonimo di restringere, di togliere il superfluo: un processo pensato per sottrazione. Invece, nel suo etimo, sintesi è composizione, è un mettere insieme: c’è il prefisso greco “ syn”, che significa “con”. Comporre è l’atto del creare. Comporre è sintetizzare, ma è anche canalizzare. Quindi sintesi è anche focalizzare; ma non semplificare. È rendere la complessità – quale essa sia – un flusso unico, riunito, omogeneo, perfezione di relazione tra le parti, che si fondono in un unico processo formale, estetico, di pensiero o di gesto. La composizione è una sintesi che raggiunge la complessità, l’articolazione, la variazione, e non va mai confusa con il concetto di “abbreviazione”.

PB: Riprendendo il mito messo in scena da Richard Wagner nel primo atto del Siegfried, si può affermare che l’opera del passato sia come la spada Notung: l’artefice l’ha creata fondendo il metallo in uno stampo unitario e forgiandola senza saldature. Il tempo trascorso, come Wotan nel secondo atto della Valchiria, ha distrutto la spada, di cui non sono rimasti che frammenti. Molti interpreti tentano di saldare tra loro le singole parti, come fa il nano Mime con Notung, ma neanche il riparatore più abile può ricostituire l’opera nella sua bellezza originaria. C’è poi il rischio che, guidati dal gusto individuale, congiungano i frammenti in modo totalmente sbagliato, producendo qualcosa di lontanissimo dall’originale. L’unica maniera valida di procedere è quella adottata infine da Siegfried: rifondere i singoli pezzi in un unico crogiuolo, per far rivivere l’opera nella sua organicità primitiva, così che sia ricreata l’armonica e arcana corrispondenza tra le sue parti che ne testimonia l’autenticità e l’oggettività. Questo è la sintesi. Altrimenti si rischia di tenere insieme i particolari con un collante estrinseco.

RG: La sintesi è un processo comune alle religioni e alle soluzioni metafisiche. Attraverso un tema centrale si ricompone lo sfrangiamento analitico del reale, di per sé irriducibile a una soluzione. Sintesi è quindi anche un processo che, pur attingendo alla meccanica del pensiero razionale, nella sua più intima essenza tocca una dimensione che lo scavalca, per identificare una soluzione comune accessibile soltanto attraverso un processo capace di includere unità in altre unità, di elidere e generare nell’intuizione unitaria. Sintetizzare, con la sua valenza ambigua, è il simbolo perfetto del processo artistico. Non è dato processo artistico senza la sintesi. Eppure non può essere un metodo. Il metodo della sintesi è specifico a ogni singolo corpo formale, perché da questo è costantemente reinventato. Quando si dice che si è sviluppato il metodo della sintesi, significa che la poesia, ossia la scintilla vitale che anima la mucca, è definitivamente persa in un macinato che al massimo può essere buono per Mc-Donald’s.

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