giovedì 19 gennaio 2023
Il filosofo mette in guardia dalla moda dell’autenticità a ogni costo nelle relazioni, nella fede, nei costumi negli usi alimentari, nell’ecologia, nei media. Feticismo che allontana dalla verità
Il filosofo francese Gilles Lipovetsky

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Ci sono alcuni filosofi e sociologi che hanno lasciato un’impronta decisiva nella descrizione dei mutamenti della società occidentale contemporanea: come l’americano Cristopher Lasch che con il saggio La cultura del narcisismo uscito in America nel 1979 ha narrato uno degli aspetti più caratteristici della psicologia dell’uomo postmoderno. Amato dai conservatori cristiani ma anche dai democratici, tanto da essere citato dal presidente Carter, Lasch ha scritto pagine illuminanti sull’individualismo crescente dei suoi connazionali. In questa cerchia non si può naturalmente dimenticare La modernità liquida di Zygmunt Bauman, libro uscito nel 2000 e divenuto ormai luogo comune, e il successivo L’amore liquido del 2003, in cui il pensatore d’origine polacca applicava la sua analisi al mondo delle relazioni affettive. Di società ipermoderna e iperconsumistica e di estetizzazione del mondo ci parla invece da decenni il filosofo francese Gilles Lipovetsky, a partire dal volume L’era del vuoto del 1983 fino al recentissimo La fiera dell’autenticità da poco tradotto per i tipi di Marsilio (pagine 400, euro 20). Per il docente dell’università di Grenoble assistiamo da tempo al fenomeno di un vero e proprio feticismo dell’essere autentico, proprio mentre il mondo del pensiero pare aver abbandonato la riflessione su questa categoria esplorata da figure come Kierkegaard e Heidegger. Il desiderio di autenticità pervade ogni settore della vita umana, dai bisogni più elementari sino alla sfera della politica e della religione. Spiega Lipovetsky: «Nell’era del rischio e dell’incertezza, della diffidenza e del sospetto, l’autenticità piace, anzi è di gran moda. I consumatori premiano le diete biologiche, i prodotti locali e artigianali, le filiere corte, le denominazioni di origine controllata, l’allevamento etico, facendosi sempre più esigenti in materia di trasparenza dell’offerta. La nuova parola d’ordine è do it yourself: dai cosmetici preparati in casa con ingredienti naturali agli abiti di seconda mano, dagli oggetti di recupero ai mercatini dell’antiquariato all’arredamento vintage, fino ai locali di gusto rètro che ricreano atmosfere “al 100% autentiche”. L’autentico è il nuovo cool». La febbre contagia aziende e imprese che fanno a gara nel presentarsi come più etiche e sostenibili della concorrenza, ma anche i leader politici che fanno di tutto per apparire onesti e incorruttibili. Così, vanno sempre più di moda gli “scambi fra persone vere” o la ricerca di spazi e tempi incontaminati, nel campo del turismo e anquali che della spiritualità. La messa in guardia dal falso e dal simulacro nell’epoca della postverità e delle fake news diviene pertanto un’altra caratteristica propria dell’uomo contemporaneo, che cerca di non farsi abbindolare dalle suggestioni di vecchi e nuovi mass media: pericoli già denunciati da Guy Debord, che negli anni Sessanta si scagliò contro la “società dello spettacolo”, e Jean Baudrillard, il quale previde l’avvento di un’era della simulazione nemica della verità. Solo l’autenticità, a livello privato e pubblico, pare in grado di arrestare questo processo che vede prevalere il potere degli algoritmi. Ma oggi, rileva Lipovetsky, il culto dell’essere autentici è diventato davvero senza freni e viviamo in un tempo dominato da una cultura dell’autenticità iperbolica: «Niente più vincoli o preclusioni di sorta. Essere se stessi è diventato un diritto universale del soggetto. Il pudore non frena più nessuno: sul web si può dire e mostrare qualunque cosa, fino a svelare i risvolti più segreti o più estremi della propria vita sessuale; anche questa è iperautenticità. Siamo di fronte a una riconfigurazione integrale del regime di verità nei confronti di noi stessi». Nella storia si possono individuare tre epoche dell’autenticità. Dopo l’affermazione, al tempo dell’illuminismo, del prototipo moderno espresso dalle Confessioni di Rousseau, in età moderna si distinguono tre fasi, la prima delle va dalla seconda metà del XVIII secolo agli anni Cinquanta. Sono i decenni in cui prende forma e si realizza «un nuovo ideale dell’esistenza che postula come dovere primario del soggetto la franchezza nei confronti di se stesso ». Ma l’anticonformismo vero e proprio esplode col ’68: in questa seconda fase la ricerca dell’autenticità non è solo un’esigenza etica individuale, ma diviene forza sociale. Alla fine degli anni Settanta, esauritasi la spinta propulsiva utopica e rivoluzionaria, si entra nella terza fase che dura fino a oggi e che vede radicalizzarsi obiettivi ed effetti: «Tutte le vecchie riserve sociali e simboliche (come le rappresentazioni della differenza fra maschile e femminile, della giovinezza, delle minoranze sessuali e di genere) si trovano squalificate». Sin qui l’analisi, che come detto comprende l’ambito religioso, in cui le fedi tradizionali sono messe in crisi e prevalgono il sincretismo e il bricolage: non si nega la spiritualità ma ognuno si costruisce una religione a modo suo, alla ricerca di un benessere interiore che non è più dato dall’esterno. Ma nella seconda parte del saggio Lipovetsky elabora una critica a questa dittatura dell’autenticità. Che non può essere considerata «una finalità suprema: esistono altri princìpi, più ricchi di sostanza etica e di gran lunga più rilevanti ai fini della costruzione di una vita degna di essere vissuta». Critica che tocca il campo dell’educazione, dove il modello di scuola incentrato solo sulla libera espressione del bambino è entrato in crisi perché ha finito per mettere in discussione l’autorevolezza degli insegnanti e per minare l’acquisizione dei rudimenti di base, screditando l’impegno e lo studio come valore. Ancora, il campo dell’ecologia e dell’economia, dove appare evidente come l’impegno al cambiamento degli stili di vita e dei consumi a partire dalla base, per quanto necessario, non sia sufficiente a porre in atto strategie adeguate per combattere le disuguaglianze o vincere le sfide del cambiamento climatico: solo una trasformazione strutturale dell’economia voluta dai poteri politici e industriali può portare a mutamenti significativi. « A livello mondiale – dice Lipovetsky – non esistono soluzioni credibili all’infuori di quelle che passano per l’investimento nella ricerca, lo sviluppo di tecnologie verdi, le iniziative per il riciclaggio dei materiali, l’economia circolare, l’approvvigionamento sostenibile, l’economia della funzionalità. La contrapposizione secca tra la vita autentica e l’artificio conduce a un’impasse pericolosa». Per questo occorre «defeticizzare l’autenticità ». Come diceva Péguy riferendosi al kantismo: «Ha le mani pu-lite, ma non ha le mani», cioè non è in grado di rispondere, né di offrire soluzioni, ai pericoli che incombono oggi sull’umanità.

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