sabato 30 aprile 2011
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«Credo in unum Deum...». Un incipit potente quello della preghiera che sintetizza i principi della fede cristiana. Un testo la cui densità non ha però scoraggiato gli artisti a darne un interpretazione in figura. Ed è proprio all’iconografia (o meglio, come vedremo, alle iconografie) del Credo che dal 2005 si dedica don Roberto Mastacchi. Un impegno che, dopo due volumi dedicati all’arte italiana, ora dà come frutto La raffigurazione del Simbolo Apostolico nell’Arte europea (Cantagalli, pagine 232, euro 16), scritto a quattro mani con lo studioso polacco Ryszard Knapinski, considerato il massimo esperto a livello internazionale sul tema.«Le raffigurazioni del Credo sono assai diffuse ma allo stesso tempo poco note» racconta Mastacchi. Anche in Italia, dove prima dei suoi studi si pensava non ve ne fosse quasi traccia: «Venivano citati solo pochi casi. Io ne ho potuti contare invece oltre centocinquanta». Qui, come nel resto d’Europa, si riscontrano con maggiore frequenza cicli dedicati alla versione più antica del Symbolum, quella che una tradizione fatta propria anche da Ambrogio voleva formulata dagli Apostoli su ispirazione delle Spirito Santo nel giorno di Pentecoste.Il volume è diviso in due parti: la prima, curata da Knapinski, costituisce una sorta di stato dell’arte della ricerca sul tema. Lo studioso individua cinque tipologie iconografiche: «Un primo tipo – spiega Mastacchi – interpreta il testo in modo narrativo e consiste nella rappresentazione degli articoli di fede mediante scene che espongono in forma di racconto il contenuto dogmatico di ogni versetto. Il secondo tipo è quello che noi chiamiamo "iconografia originaria". Presenta le immagini degli Apostoli accompagnati dai versetti del Credo. Questa iconografia si riferisce alla stessa origine leggendaria, ma all’epoca tenuta per vera, del Simbolo Apostolico.Vale la pena sottolineare come la sequenza dei santi, con Pietro sempre al primo posto, segue salvo piccole varianti quella fissata dal Canone Romano. Il modello è quindi liturgico ed è interessante notare come sia stato mantenuto poi anche in ambito protestante, dove l’iconografia ebbe un’ampia diffusione su spinta diretta di Lutero. La terza tipologia mette a confronto gli Apostoli con i Profeti. La quarta è invece di tipo misto e consiste in raffigurazioni contenenti sia le gli Apostoli sia la narrazione degli articoli del Credo. Al quinto tipo, infine, ascriviamo le immagini che raffigurano sotto forma simbolica tutto il collegio apostolico, eccezionalmente anche con frasi del Simbolo».Un tour ideale tra gli esempi più belli in Italia? «Sicuramente Siena, vera e propria città del Credo. Qui il Simbolo è stato rappresentato almeno nove volte. Da vedere gli affreschi del Vecchietta nel Battistero, spazio esemplare per la relazione tra il sacramento celebrato e le verità di fede enunciate nei dipinti, che rispondono alla volontà precisa di trasmettere il contenuto teologico del singolo versetto. Ci sono poi ben due raffigurazione del rarissimo Credo Niceno-Costantinopolitano: le tavolette di Benedetto di Bindo al Museo dell’Opera e i ventidue stalli intarsiati del coro della cappella del Palazzo Pubblico. A Firenze, al Museo di San Marco, c’è invece la mirabile Lex Amoris di Beato Angelico. In Vaticano gli affreschi del Pinturicchio negli appartamenti Borgia. La maggiore diffusione in Italia dei cicli del Credo è però in area settentrionale e si fa tanto più alta quanto più la zona era a rischio di correnti eretiche, una tendenza confermata a livello europeo. Tra questi si possono segnalare gli affreschi del battistero di Novara o a Brescia quelli della chiesa di San Cristo. Da non perdere infine il bellissimo ciclo della pieve di San Pietro di Feletto, in provincia di Treviso, in cui le scene narrative si fondono con gli apostoli e i profeti».Se lo studio di Knapinski si concentra sulle arti maggiori (vale a dire pittura, scultura e così via), Mastacchi nella seconda parte affronta la materia da un punto di vista totalmente nuovo: «Ho esplorato il patrimonio delle stampe europee tra XV e XVIII secolo. È la prima volta che accade in modo sistematico e pressoché esaustivo». Un lavoro durato due anni nei musei e sui repertori di tutto il continente: «Le stampe avevano una circolazione amplissima ed erano uno strumento catechetico, usato sia in ambito cattolico, ad esempio dai gesuiti che attraverso l’autorevolezza del Simbolo ribadivano quella della successione apostolica, come in area protestante: con così scarse varianti che risulta difficile distinguere due iconografie differenti».Tra arti maggiori e stampe c’è invece uno scarto cronologico: «Il picco delle prime è riscontrabile tra metà ’400 e metà ’500, quando ancora la Chiesa era unita. Poi si assiste a un declino, dovuto alle trasformazioni liturgiche e catechetice, tanto che nel ’600 i cicli sono piuttosto rari. Esattamente in controtendenza rispetto a quanto accade nella diffusione della produzione a stampa, destinata a una fruizione personale prima che comunitaria».
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