venerdì 11 gennaio 2013
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"Data la gravità della situazione prospettata anche nel Rapporto di Vostra Eccellenza, e confermata da notizie giunte alla Santa Sede da buone fonti, a riguardo della non piena comprensione che si ha in Austria del pericolo della diffusione delle idee nazionalsocialiste, il Santo Padre desidera che Vostra Eccellenza richiami su tale pericolo l’attenzione di chi di dovere ed Ella stessa vigili attentamente affine [sic] di non trovarsi di fronte a dolorose sorprese». Così scriveva – eseguendo un ordine di Pio XI – il segretario di Stato Eugenio Pacelli in una lettera inviata l’11 febbraio 1937 al nunzio a Vienna, monsignor Gaetano Cicognani, catapultato pochi mesi prima – dopo 11 anni in Bolivia e in Perù – nell’epicentro della crisi europea quando l’espansionismo tedesco già aggrediva il destino dell’Austria. Come andarono poi le cose per il piccolo Stato dalla forte identità cattolica (a proposito del quale papa Ratti più volte aveva ribadito: «Il mio pensiero è che l’Austria sia l’Austria») è ben noto: non solo la realizzazione dell’Anschluss, cioé l’annessione alla Germania nazista, annunciata il 12 marzo 1938 e fatta suggellare da Hitler il 10 aprile successivo con un plebiscito nell’indifferenza dell’Europa, ma persino la resa penosa e immediata dei vescovi austriaci di fronte ai nuovi padroni, ultimo anello di una catena di iniziative politiche dell’arcivescovo di Vienna, il cardinale Theodor Innitzer, pronto – dopo aver detto pubblicamente che «un cattolico non poteva essere nazionalsocialista» – a ringraziare il Führer con tanto di saluto nazista e il 18 marzo 1938 a far firmare ai vescovi (senza che nessuno si opponesse) un’adesione al nuovo regime. Tutto questo tenendo all’oscuro il nunzio, obbligato a prendere atto del sostegno a Hitler nel timore di una persecuzione religiosa. Da qui il conseguente intervento della Santa Sede, inevitabilmente tardivo ma poi sempre più duro: dalla presa di distanza dall’episcopato austriaco con tanto di nota ad hoc sull’Osservatore Romano alla convocazione a Roma di Innitzer, biasimato per le sue arrendevoli posizioni. A ricostruire la vicenda, arricchendola di nuovi dettagli insieme alla pubblicazione di un interessante memorandum inedito del nunzio Cicognani datato 12 aprile 1938 e indirizzato al cardinale segretario di Stato Pacelli, è ora un saggio in uscita sul prossimo numero di Nuova Storia Contemporanea con il titolo «Hilter, il nunzio e il cardinale» a firma di Paolo Valvo, già autore del volume Dio salvi l’Austria! 1938: il Vaticano e l’Anschluss edito da Mursia due anni fa. Anche se, descrivendo il suo rapporto con Innitzer nei vari momenti della crisi, Cicognani – secondo l’interpretazione di Valvo – pare far derivare l’indulgenza del porporato nei confronti del nazionalsocialismo più da debolezza psicologica che da convinzioni politiche (e i connotati di un dramma personale e collettivo sono qui riassunti in una frase attribuita da Cicognani al vescovo di Graz, Ferdinand Pawlikowski, da sempre vicino agli Asburgo: «Non vi era nulla a fare, siamo dei vinti, coacti fuimus»), né l’immagine del porporato dalla «costante incertezza di criterio» con i suoi vescovi «depressi e abbattuti», né gli aggettivi che via via appaiono nel memoriale a dipingere Innitzer «rassegnato», «depresso», «sfiduciato» e in ogni caso destinato subito a soccombere nella morsa dei nazisti (che alternano continuamente promesse e minacce, pressioni e isolamento) aiutano a dimenticare quella che resta una delle più brutte pagine nella storia dell’episcopato austriaco. Né aiuta a farlo la stessa immagine di Innitzer che, chiamato a riferire del suo operato a Pio XI, il 6 aprile 1938, per ben due volte in poche ore, dopo aver confermato al nunzio la volontà di partire per Roma, ritornò sui suoi passi, per le pressioni esercitate del Gauleiter Bürckel, mostrandosi ancor titubante alla partenza del treno (quando ricevette un telegramma da parte di Hitler che voleva incontrarlo, poi una telefonata di Bürckell) e infine lasciandosi convincere da Cicognani e dal nunzio a Berlino Cesare Orsenigo ad obbedire subito al Papa. Nei mesi successivi però, occorre prendere atto che vescovi austriaci – Innitzer in testa – avrebbero ammesso i loro gravi errori passando da atteggiamenti di adesione (per debolezza o per convinzione che si voglia) a manifestazioni di delusione se non di ostilità. Tra i documenti dell’episcopato ricevuti da Orsenigo, si trova anche una dura lettera di Innitzer a Bürckel del 10 settembre 1938 nella quale l’arcivescovo di Vienna denunciava inganni e strumentalizzazioni di cui i vescovi erano stati fatti oggetto da parte nazista, ammettendo di aver sbagliato a dar credito alla buona fede del nuovo governo, a fronte di infinite vessazioni inflitte alla Chiesa. Innitzer ribatteva alle insinuazioni di una precedente lettera di Bürckel, il quale aveva attaccato il Papa per aver costretto Innitzer a ritrattare le sue posizioni. Ma forse la maggior prova di riscatto dell’arcivescovo di Vienna sta nel suo discorso pronunciato il 6 ottobre 1938, quando dal pulpito della cattedrale cercò – come scrive Emma Fattorini nel suo Pio XI, Hitler e Mussolini edito cinque anni fa da Einaudi – «di galvanizzare il senso di appartenenza dei cattolici austriaci, appellandosi alla loro identità confessionale contro i nazionalsocialisti». Immediata e brutale la loro reazione che trasformò Vienna in un teatro di violenza antireligiosa. I nazisti assaltarono anche il vescovado al grido «Ammazzate Innitzer!». Aggredito e percosso, il porporato rischiò veramente la morte. «Povero cardinale Innitzer, lo compatisco! Mi fa proprio pena! Con quale moneta lo ripagano», confidò Pio XI a Tardini dopo aver appreso la notizia, non senza avergli prima ordinato di far «sapere al mondo che anche l’arcivescovo di Vienna è ormai contro il nazismo». E in un’udienza del giorno precedente, commentando un rapporto di Orsenigo sulla stessa predica del 6 ottobre, sempre Pio XI, che non aveva certo rimosso il caloroso saluto con cui Innitzer mesi prima aveva accolto il  Führer, diceva: «Questo cardinale è stato sempre ripetutamente infelice! Prima Heil Hitler e poi...».
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