martedì 10 maggio 2016
Questa Italia malata di ignoranza
COMMENTA E CONDIVIDI
"Dare i numeri. Le percezioni sbagliate sulla realtà sociale" è l'ultimo libro del politologo e statistico Nando Pagnoncelli del quale pubblichiamo un estratto. Edito dalle Dehoniane (pp103, euro 10), accompagnato da un saggio di Ilvo Diamanti parte da indagini Ipsos che coinvolgono 33 Paesi e indaga sui modi in cui i cittadini percepiscono e distorcono la realà politica, economica e sociale in cui vivono. Dal numero degli immigrati a quello degli anziani, dal tasso di disoccupazione alla percentuale dei giovani che non studiano e non lavorano. E ancora: dall’appartenenza religiosa alla partecipazione alla vita politica, dall’età media della popolazione all’aspettativa di vita, dalle connessioni internet all’obesità. Sulla valutazione di queste cifre, la discussione pubblica italiana rischia di partire da una somma di percezioni clamorosamente sbagliate. Uno scollamento rispetto alla realtà che può fare comodo a chi, in politica, cavalca l’allarmismo sociale ai fini del consenso e ai mezzi di informazione, orientati ad aumentare lettori e ascoltatori facendo leva su notizie eclatanti. Un’indagine internazionale, condotta per due anni consecutivi da Ipsos, prima in 14 e poi in 33 Paesi, permette di comprendere questo fenomeno e di misurare le percezioni dei cittadini su aspetti sociali, demografici ed economici. E proprio a partire dalle discrepanze tra percezione e realtà consente di creare un «indice di ignoranza» che classifica i Paesi dal meno al più informato. è interessante osservare che nel 2014 l’Italia si è aggiudicata la discutibile medaglia d’oro, risultando largamente al primo posto, mentre nel 2015 è scivolata al 10°. Limitando l’analisi ai Paesi testati nel 2014, rimaniamo sul podio, preceduti dal Belgio. Al di là dell’ironia, la distanza tra percezione e realtà che riscontriamo in Italia fa molto riflettere. I problemi che toccano il nostro Paese sono senz’altro gravi ma gli italiani, nella maggior parte dei casi, tendono a dilatarne la portata, a drammatizzarne le cause e gli effetti. O, al contrario, a sottovalutare la presenza di tanti aspetti positivi, dalla percezione del numero di persone che svolgono attività di volontariato ai fondamentali economici. Nel 2015, nel pieno della crisi greca (rischio di default e referendum pro o contro le misure imposte dall’Unione europea), molti italiani erano convinti che tra Italia e Grecia non ci fossero differenze e che la stessa sorte dei greci sarebbe prima o poi capitata anche a noi. I più ignoravano che il prodotto interno lordo greco rappresenta all’incirca un sesto di quello italiano e corrisponde grosso modo a quello della sola Lombardia. Il 71% dei nostri connazionali ignora che l’Italia, grazie alla presenza di oltre quattro milioni di imprese, è il secondo Paese manifatturiero d’Europa (dopo la Germania) e di questi il 17% non ci crede. Tutto ciò investe il tema della fiducia nel futuro, delle aspettative personali e del rapporto con chi ha responsabilità politiche, a cui i cittadini chiedono soluzioni. Ma la stessa politica è oggetto di una evidente distorsione tra la percezione e la realtà. Il discredito che la investe, infatti, è a tal punto diffuso che i cittadini sono convinti che intervenendo sui costi della politica si possano risolvere i problemi economici italiani. E gli scandali di cui ci parlano costantemente le cronache, dall’utilizzo improprio dei rimborsi elettorali alla corruzione vera e propria, non fanno che amplificare questa distorsione percettiva. A tale proposito, qualche tempo fa realizzammo un sondaggio per verificare quale sarebbe stata la decisione prioritaria adottata dai cittadini se avessero potuto farlo, scegliendo tra la riduzione del numero dei parlamentari, la privatizzazione di molte delle imprese pubbliche, l’abolizione delle province e la vendita di parte dei beni demaniali. Prevedibilmente la risposta più gettonata fu la prima, cioè la riduzione dei parlamentari. Ma la vera sorpresa riguardò la risposta data alla domanda successiva, che intendeva verificare quale dei quattro possibili interventi avrebbe generato più risparmi per le finanze pubbliche: la maggioranza assoluta mise al primo posto la riduzione dei parlamentari che in realtà, rispetto agli altri provvedimenti considerati, avrebbe rappresentato in termini economici una goccia in un oceano. Come si spiega questa diffusa ignoranza di fenomeni che hanno una grande rilevanza pubblica? Le spiegazioni potrebbero essere molte. Innanzitutto il livello di istruzione, che in Italia risulta piuttosto basso: basti pensare che, considerando la sola popolazione adulta, il 57% è in possesso della licenza media o elementare (o non possiede alcun titolo). Inoltre è abbastanza diffuso un fenomeno che potremmo definire, con una licenza terminologica, «analfabetismo numerico»: molte persone non hanno dimestichezza con i numeri e le percentuali, faticano ad orientarsi e a formulare stime corrette, finendo spesso con il generalizzare, amplificando o attenuando significativamente la portata della realtà. Inoltre, nella stima numerica dei fenomeni si può incorrere in quella che lo psicologo sociale americano Daniel Herda definisce emotional innumeracy, che potremmo tradurre con «ignoranza numerica legata alle emozioni». Secondo lo studioso, le persone rispondono a questo genere di domande sovrastimando i fenomeni che sono considerati un pericolo o una minaccia. Come se, in buona fede, volessero trasmettere un messaggio di preoccupazione e di ansia, generato da quel fenomeno. Infine, come si diceva, risultano fondamentali le modalità con cui le persone si informano, privilegiando l’informazione rapida e superficiale, la sintesi, il breve servizio filmato di un tg, i titoli dei giornali o delle notizie trasmesse alla radio, quando al contrario la complessità di tali temi imporrebbe un approfondimento e un’analisi. I luoghi del confronto sono sempre più autoreferenziali, a partire dai social network, spazi di libertà e di democrazia trasformati in club a cui sono ammesse solo le persone che la pensano nello stesso modo. O nel quale lo «scemo del villaggio», come lo ha definito il compianto Umberto Eco, si convince di essere un guru o un maître à penser, grazie ai like o ai «mi piace» che ottiene dalla rete. E sullo sfondo c’è sempre la minaccia costituita dall’attendibilità delle fonti e dalla velocità con cui si diffondono in rete notizie false, anche se apparentemente credibili. Le «bufale» che circolano sono frequenti e molti abboccano, trovando conferme alle proprie opinioni, con evidente soddisfazione. Il dominio delle percezioni ci rende prigionieri dei nostri pregiudizi e orienta i nostri atteggiamenti e i nostri comportamenti. E ciò vale per tutto ciò con cui entriamo in contatto nel mondo contemporaneo, dai fenomeni più vicini a quelli apparentemente più distanti. Dalle scelte riguardanti i nostri consumi a quelle politiche. Il pericolo delle percezioni interpella tutti, i singoli cittadini, il sistema dell’informazione e la politica. In un mondo ideale, l’informazione svolge il ruolo di intermedia-zione con l’opinione pubblica, favorisce la conoscenza e la consapevolezza dei fenomeni, contribuisce alla crescita civile e sociale di un Paese. Al contrario, fare scalpore e colpire l’immaginario, talora rischiando di agitare fantasmi, sono tentazioni troppo forti per aumentare l’audience. E cavalcare gli allarmi sociali rappresenta un facile espediente per aumentare il consenso politico, una sorta di doping. Non possiamo però nemmeno escludere la buona fede di molti giornalisti e politici. È probabile che non sempre e non per tutti si tratti del tentativo deliberato di «fare notizia», alterando le percezioni. Forse si tratta di ignoranza vera e propria dei fenomeni di cui si parla, alla stessa stregua di quanto abbiamo registrato tra i cittadini. A questo proposito sarebbe interessante ripetere la ricerca, intervistando campioni rappresentativi di giornalisti e di parlamentari dei diversi Paesi. Ne scopriremmo delle belle. Ma forse anche questa è solo una percezione.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: