Tra tutti i Paesi dell’Occidente cristiano, tradizionalmente cattolici d’obbedienza romana e d’espressione liturgica latina, l’Italia costituisce senza dubbio un’eccezione sia per il posto che l’immagine di tipologia orientale e più precisamente bizantina ha occupato e occupa ancora nella pietà dei fedeli, talvolta anche inconsapevolmente, sia per l’importanza che ha avuto nel vasto ambito della pittura religiosa, considerata a buon diritto come uno dei fenomeni più salienti nell’arte sacra del Paese. È noto, in effetti, l’influsso di Bisanzio nella formazione e nello sviluppo dell’arte cristiana medioevale, soprattutto in Italia: basti pensare all’innegabile parentela dell’icona con i famosi fondi d’oro delle scuole del Duecento e anche del Trecento, soprattutto in Toscana, dove si dipinse per lungo tempo alla maniera greca fino all’apparire, dopo Duccio, del "dolce stil novo" che si sarebbe affermato pienamente con Giotto e i suoi epigoni. Per non parlare poi, evidentemente, dello splendido poema figurativo costituito dai mosaici veneziani o della Sicilia normanna.Oltre alle antiche icone venerate tutt’oggi in numerosi santuari e basiliche romani, attribuibili grosso modo al periodo compreso tra la fine del VI e tutto l’VIII secolo, vi sono molte chiese dell’Italia peninsulare e insulare che presentano una grande varietà di immagini, in maggioranza mariane, locali oppure importate dall’Oriente nel corso dei secoli. Queste icone, i cui archetipi risalgono al periodo pre-iconoclasta, furono tutte largamente riprodotte con varianti nel corso dei secoli successivi. La tradizione voleva che l’iconografia di queste icone della Vergine traesse origine dai ritratti che sarebbero stati dipinti da san Luca mentre Maria era in vita, per non parlare delle immagini "acheropite" realizzate miracolosamente senza intervento umano, come nel caso dell’immagine di Cristo (o quel che ne resta), custodita nel Sancta Sanctorum in Laterano. Si comprenderà allora l’importanza che potevano rivestire in Occidente, e in particolare in Italia, l’imitazione, la riproduzione o anche la "falsificazione" di icone orientali che avevano fama di essere "non fatte da mano d’uomo". Un’aura di prestigio circondava inoltre le icone che si diceva fossero sfuggite alla proscrizione iconoclasta e approdate prodigiosamente in terra italiana, come la Madonna di Santa Giustina a Padova, la Madonna del Lago, patrona della città e della diocesi di Bertinoro, o ancora la Madonna dell’Oriente di Tagliacozzo. Non sono che alcuni esempi, che illustrano a meraviglia il carattere "archetipico" delle icone originali, riprodotte allo scopo di conferire sacralità anche alle nuove opere, indipendentemente dall’anonimato o dalla modestia del loro autore. La loro origine orientale o ritenuta tale accresceva il fascino che esercitavano sull’immaginazione e sulla pietà dei fedeli, oltre che il prestigio che conferivano ai loro proprietari o, a fortiori, ai loro donatori.La maggior parte delle icone che si incontrano in Italia hanno origini diverse, possono costituire trofei di guerre e conquiste, come la Vergine Nicopeia (X secolo), portata nel 1204 da Costantinopoli e oggi venerata in San Marco a Venezia; oppure donazioni, come ad esempio la copia del Santo Mandylion di Edessa custodita dal XIV secolo nella chiesa di San Bartolomeo degli Armeni a Genova (forse una copia dell’antichissima effigie un tempo esposta nella chiesa di San Silvestro in Capite a Roma e attualmente conservata in Vaticano). Anche la Sicilia meriterebbe un esame delle antiche icone mariane presenti sul suo territorio, come la Madonna dell’Elemosina o "Madre di Misericordia", tra le più celebri dell’isola, portata verso la fine del XV secolo dall’Albania a Biancavilla, sulle pendici dell’Etna. Molte icone, sovente le più conosciute e care alla pietà dei fedeli, furono tuttavia dipinte in loco da artisti autoctoni, durante il periodo medioevale oppure in epoca più recente, in particolare nel caso dell’Italia meridionale e delle costiere ioniche e adriatiche. A questo proposito, va ricordato lo straordinario ruolo svolto dal golfo adriatico in campo artistico e religioso, come reale polo di comunicazione e interscambio tra le due coste, italiana e dalmata, in particolare nella pittura di icone.Vanno ricordati inoltre i numerosi insediamenti o colonie di origine orientale (bizantini, elleni, albanesi e serbi), che fecero successivamente comparsa sul suolo italiano, a seconda delle vicissitudini storiche. Questo fenomeno è all’origine della costruzione e dello sviluppo di santuari, solo in parte legati a monasteri, destinati in primo luogo all’esercizio del culto da parte di queste popolazioni. I santuari rupestri sono caratterizzati sovente da un tipo di ornamentazione specifico, comprendente anche un adeguato programma iconografico. Quest’attività artistica va dai più antichi affreschi di Santa Maria Antiqua o San Saba, nella Roma del VI-VII secolo (epoca in cui alcune catacombe romane divenute luoghi di pellegrinaggio, come quelle di Commodilla o di San Callisto, si coprirono a loro volta di pitture, vere e proprie icone murali della Madre di Dio, dei santi e martiri venerati), fino alla Puglia e alla Basilicata, alla Calabria, alla Sicilia medioevali, e infine alle comunità di più recente insediamento che, negli ultimi secoli, costellarono l’Italia peninsulare e insulare di chiese provviste di icone ed iconostasi per le esigenze della celebrazione liturgica di rito bizantino. Queste colonie inoltre stimolarono in loco un’attività artistica e iconografica di cui riscontriamo ancora interessanti testimonianze, per non parlare dell’abbondante produzione veneto-cretese e delle isole ioniche all’epoca della dominazione veneziana, da cui dipende in parte il gran numero di opere attribuite comunemente ai madonneri, pittori operanti fino al XVII e anche oltre.Se la teologia dell’immagine venne elaborata essenzialmente nell’Oriente cristiano di lingua greca, e se la legittimità del suo culto venne energicamente sostenuta dalla Chiesa di Roma in risposta agli eccessi degli iconoclasti, l’Occidente latino non la percepiva tuttavia come un elemento sostanziale e non trasse tutte le conseguenze teoriche e pratiche che, per contro, vennero mirabilmente sviluppate dalla Chiesa bizantina nel corso dei secoli successivi alla crisi iconoclasta e al ripristino del culto delle immagini. In effetti, il Concilio ecumenico Niceno II (787) e il trionfo dell’ortodossia (843) furono intesi inizialmente come una restaurazione pura e semplice del culto delle immagini per così dire "personali", cioè i ritratti di Cristo, della Madre di Dio e dei santi. Il processo operatosi a Bisanzio a partire dall’XI secolo, con l’apparizione di cicli di immagini sempre più evoluti e organicamente elaborati, rimase perlopiù lettera morta in Occidente, se si eccettuano alcune importazioni o trasposizioni isolate e senza seguito, come ci testimoniano, in certo modo, i mosaici veneziani e siciliani.Per questo, anche nelle sue espressioni artistiche più umili, il culto delle icone in Oriente, a partire da quelle della Madre di Dio - che si presentano come la sintesi visiva del mistero dell’Incarnazione e l’immagine dell’archetipo e modello dell’umanità trasfigurata e deificata - non è riconducibile puramente e semplicemente a un’ingenua manifestazione di religiosità popolare. È legato al culto ufficiale e la tipologia dell’icona è condizionata, in certa misura, dal luogo di culto cui è destinata. Non si può invece dire altrettanto dell’Occidente latino, anche se le immagini e le icone che vi erano venerate (ad esempio nelle basiliche romane e in altre chiese d’Italia), avevano sovente la pretesa di essere ritratti autentici (verae iconae), e quindi reali oggetti di culto, ammantati di un’aura di tipo ancora pre-iconoclasta e caratterizzati in primo luogo dal fatto di essere inavvicinabili. In effetti, queste immagini sacre sono generalmente inaccessibili e collocate molto in alto nella gloria di pale d’altare sovente sontuose, fuori della reale portata dei fedeli se non addirittura della loro vista, come preziose icone intoccabili, isolate e, in maggioranza, prive di nessi immediati con la restante decorazione figurativa della chiesa che le custodisce.Nel Medioevo l’Italia meridionale, e in particolare la Puglia, vide numerose icone importate, ma vi sono ben pochi originali propriamente orientali che risalgano a quell’epoca. La posizione geografica di questa regione italiana ne faceva realmente un anello di congiunzione culturale e religiosa con la vicina penisola balcanica, Corfù, Cipro e la Terra Santa, e quindi tra il mondo occidentale e l’Oriente cristiano del tempo, greco oppure latino, come all’epoca delle crociate. Anche se la dominazione bizantina vera e propria ebbe una durata relativamente limitata, dalla fine del IX alla seconda metà dell’XI secolo, essa lasciò comunque tracce profonde e molteplici nell’arte e nella liturgia, soprattutto nel campo della pittura religiosa e, di conseguenza, nel culto e nella pittura delle icone.Occorre dunque percorrere le borgate, le gravine di Puglia e Basilicata con i loro insediamenti rupestri (non necessariamente monastici), per scoprire un gran numero di santuari, in maggioranza ipogei, con pitture murali di ispirazione bizantina, non solamente per stile e iconografia ma anche per il loro modo di inserirsi nel contesto architettonico: è il caso di "cripte" come ad esempio in terra d’Otranto o in Basilicata. A queste icone murali si aggiunge il gran numero di icone dipinte su tavole di legno di diverse dimensioni. Se le più antiche icone conosciute in Puglia risalgono di fatto al XIII-XIV secolo, la Madre di Dio detta dei Sette veli o Santa Maria Iconavetere, venerata nella cattedrale di Foggia, è abitualmente datata all’XI-XII secolo.Sia in Oriente che in Occidente le immagini sacre furono per lungo tempo riprodotte secondo modelli identici, talvolta in numero incalcolabile, per soddisfare le esigenze della liturgia della Chiesa e del culto pubblico nonché della devozione privata. Questo culto delle icone orientali che affascinarono nei secoli passati gli occidentali (sebbene essi non comprendessero bene la posta in gioco della crisi iconoclasta dell’VIII-IX secolo e non ne scoprissero le ragioni profonde che all’epoca del Concilio di Trento, nel XVI secolo), si esprime con incomparabile ricchezza artistica e varietà di applicazioni nelle antiche terre meridionali della penisola italiana, crocevia etnico, culturale e religioso dove l’orma di Bisanzio è tra le più profonde e durature.