domenica 19 settembre 2021
La pandemia ha colpito e cambiato anche le realtà museali della Chiesa, che si incontrano a Roma per discutere pratiche e prospettive. Parla il presidente dell’Associazione Musei Ecclesiastici Gardini
La litografia di Chagall “Crucifixion grise”esposta al Museo Diocesano di Milano

La litografia di Chagall “Crucifixion grise”esposta al Museo Diocesano di Milano - Ansa

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A vent’anni dalla “Lettera circolare sulla funzione pastorale dei Musei ecclesiastici” l’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Conferenza Episcopale Italiana, il Pontificio Consiglio della Cultura, la Pontificia Università Gregoriana e l’Associazione Musei Ecclesiastici Italiani organizzano a Roma il 23 e il 24 settembre il convegno 'I musei ecclesiastici testimoni di futuro'. La riflessione sui principi ispiratori della Lettera, la sua ricaduta sul mondo accademico e la sua declinazione al futuro oltre la pandemia saranno le premesse per un’analisi sui musei e sulle loro prassi pastorali, con particolare attenzione al digitale, all’arte contemporanea e al ruolo inclusivo delle collezioni etnografiche. Nelle due mattinate, alle relazioni guida si affiancherà la presentazione delle attività di alcune associazioni nazionali ed europee di musei ecclesiastici. Sarà possibile seguire le relazioni in streaming sulla pagina Facebook dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede (23 settembre) e sulla diretta Youtube della Gregoriana (24 settembre).

Giovanni Gardini

Giovanni Gardini - Amei


La pandemia ha travolto ma anche, paradossalmente, fortificato i musei. Da una parte sono stati costretti a reinventarsi e a uscire dalle loro sedi nello spazio digitale, superando finalmente l’idea che un museo coincida con l’edificio quando invece è innanzitutto un dispositivo culturale e sociale. Dall’altra proprio l’inaccessibilità ha reso sensibile presso il grande pubblico la necessità della loro presenza. Una chiamata anche per i musei ecclesiastici, che come e più di altri hanno nel rapporto con il territorio una vera e propria ragion d’essere. Non è allora un caso che queste realtà si ritrovino a Roma il 23 e il 24 settembre a discutere e confrontarsi in un convegno di respiro internazionale dal titolo 'I musei ecclesiastici testimoni di futuro', organizzato a vent’anni dalla 'Lettera circolare sulla funzione pastorale dei Musei ecclesiastici'. Ne parliamo con Giovanni Gardini, da pochi mesi nuovo presidente di Amei.

Nuova presidenza, nuovo consiglio direttivo. Quali sono le linee programmatiche per il prossimo quinquennio dell’Associazione nazionale dei musei ecclesiastici?

Innanzitutto vorrei segnalare la varietà e la ricchezza del consiglio direttivo, sia per le competenze, sia per la provenienza da tutta Italia, sia per il fatto di lavorare in musei molto diversi e non solo per ampiezza - un elemento questo davvero utile per avere un dialogo con tutti i musei associati, anche con quelli più piccoli. Nella nostra associazione ci sono realtà davvero molto differenti, legate a parrocchie, diocesi, santuari, musei con una storia antica e altri piccolissimi o recenti, alcuni con personale strutturato e altri gestiti da volontari. Amei deve e vuole avere uno sguardo diversificato, raccoglie tante anime, ma questa è la ricchezza di una associazione. Ed è un consiglio che intende portare avanti il lavoro egregio avviato dalla presidenza di Domenica Primerano, anche grazie alla continuità di alcuni membri del direttivo, a partire dal fare rete, in collaborazione con i coordinatori regionali: dobbiamo incentivare lo scambio, la collaborazione tra musei, consapevoli delle ricchezze delle realtà di cui sono espressione. È sempre più necessario un museo capace di leggere i segni dei tempi, facendo dell’arte un luogo di dialogo, di sperimentazione, di inclusione. La società è cambiata e con essa anche i musei, che sono diventati come delle 'piazze'. Vorrei poi sottolineare come il rapporto con l’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici e l’Edilizia di Culto della Cei sia centrale per la vita dell’associazione e dei nostri musei, anche per attivare sinergie con le altre realtà come biblioteche e archivi, i cui patrimoni si intersecano e dialogano naturalmente con quelli museali. Un progetto come Aperti al MAB è significativo. Certo è un lavoro impegnativo perché richiede progettazione comune e dedizione, ma è fondamentale.

Tutto il settore culturale è stato duramente colpito dalla pandemia e dai lockdown. Nello specifico, cosa è accaduto ai musei ecclesiastici? Come hanno reagito?

Credo che questo convegno di Roma sia una bella occasione di riflessione sulle fatiche vissute in tempo di pandemia. Non si può negare che a livello nazionale si percepisca ancora inquietudine e difficoltà e certamente a fare le spese di questo anno e mezzo sono state soprattutto le realtà più piccole. La regolare apertura dei musei è stata compromessa e ci cono ancora incertezze. Ma in questi mesi, tra colleghi i contatti sono sempre stati vivi, abbiamo condiviso preoccupazioni, speranze, interrogativi. Ora da tutta la rete il desiderio di ripartire appare forte, così la volontà lasciarsi alle spalle la fatica dell’anno precedente. Ma come? La relazione al convegno di don Valerio Pennasso riguarda anche questo punto: il futuro della Lettera al tempo del Covid è anche il futuro dei musei.

La pandemia per le realtà museali è stata in effetti anche un incubatore e un acceleratore di processi di innovazione. Cosa è accaduto tra i musei ecclesiastici?

Anche i musei ecclesiastici hanno aperto la frontiera del digitale, organizzando incontri, convegni, visite: per paradosso abbiamo potuto parteciparvi molto di più. Restando nell’ambito di Amei, stiamo sviluppando un nuovo sito, che costituisce anche un’occasione per ricontattare tutti i nostri soci e raccogliere dati importanti. Così come abbiamo colto la necessità di immaginare un piano editoriale per i social. Le dirette, il digitale, continueranno al di là dell’emergenza? Credo di sì, ma offrire l’esperienza in presenza resta centrale. I musei ecclesiastici più sono inseriti nei loro territori e più le rispettive reti riescono a svolgere la loro funzione pastorale. Tanto nella dimensione 'fisica' quanto in quella digitale, dobbiamo essere parte della proposta culturale e formativa di una città. È ciò che fa sì che i musei ecclesiastici possano avere riconoscibilità e rilevanza. Non sono luoghi di nicchia, non sono ambienti polverosi, ma realtà museali a tutti gli effetti.

La Lettera sui Musei Ecclesiastici ha venti anni, due decenni in cui non solo la società ma anche il mondo dei musei sono molto cambiati. Cosa resta di valido e cosa invece oggi sembra 'mancare' o meriterebbe di essere messo più a fuoco?

La Lettera offre linee programmatiche ampie che vanno calate nelle singole realtà. Non va dimenticato che la Lettera circolare parla a tutta la Chiesa. Da qui, la volontà di aprire il convegno ad esperienze europee. Ciascuna realtà deve accogliere quello che più trova corrispondente rispetto alla propria di- mensione. Ma dal 15 agosto 2001, data di uscita della Lettera, il mondo è davvero molto cambiato. Quindi credo che ragionare e riflettere sulla funzione pastorale significa porsi anche nuove prospettive, e l’attualità della Lettera sta proprio in questa tensione che spinge verso nuovi orizzonti. In questi due decenni le nostre città sono diventate profondamente multietniche. Cambiano le narrazioni dei musei e cambiano le domande che il pubblico chiede ai musei.

Tra i temi del convegno c’è anche la presenza dell’arte contemporanea. Negli scorsi anni Amei ha sviluppato progetti in questo senso. A parte alcuni singoli casi, però, l’impressione è che rimanga una certa refrattarietà nel mondo ecclesiale rispetto a questa dimensione.

L’arte contemporanea è una grande opportunità di dialogo, di incontro. I musei sono luoghi laboratoriali, dobbiamo sfruttare questa libertà e sperimentare. Certo, la questione non è senza spine, ma abitare questi mondi fa bene, si resta vicini alla realtà che si vive. Ed emergono temi centrali, penso ad esempio a quello del corpo, del linguaggio, delle relazioni, dello sguardo. L’arte contemporanea può essere lo spazio giusto per avviare cantieri di riflessione.

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