venerdì 22 settembre 2023
Un saggio rilegge i rapporti tra la nuova fede e l'Impero dalla prospettiva dei governatori locali e delle regioni a loro sottoposte, con prassi di collaborazione e tolleranza
Pesce e pane eucaristico, particolare di pittura del III secolo. Catacombe di San Callisto, cripta di Lucina, Roma

Pesce e pane eucaristico, particolare di pittura del III secolo. Catacombe di San Callisto, cripta di Lucina, Roma

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Anni fa, ricordando il latinista Scevola Mariotti, Luciano Canfora ebbe a scrivere che di fronte al concreto problema scientifico contano la reattività intuitiva e la capacità di connessione di cui siamo capaci. Un insegnamento che ora torna alla mente leggendo il recente volume di Giancarlo Rinaldi, Roma e i Cristiani. Materiali e metodi per una rilettura (Vivarium Novum, pagine 638, euro 38). Rinaldi studia da anni i rapporti tra cristiani e pagani sotto più punti di vista e in quest’ultima fatica assume un’interessante e fruttuosa prospettiva d’indagine che parte dalla necessità «di abbandonare la storia “per imperatori”» e sceglie «di chinarsi, con immensa pazienza, sugli elenchi dei governatori provinciali attivi secondo il loro succedersi e nei loro rispettivi territori». Tale prospettiva consente di cogliere non solo i diversi atteggiamenti degli imperatori, ma anche le diverse prese di posizione delle autorità locali, che erano chiamate ad applicare norme e provvedimenti e a rispondere ai problemi presenti sul territorio di competenza, anche quando non vi era una legislazione generale. Tale prospettiva articolata Rinaldi la applica di contro anche al cristianesimo, che «fu lungi dal presentarsi in maniera compatta ed omogenea» e che abbracciò sia posizioni antiromane, rappresentate dall’autore dell’Apocalisse di Giovanni, sia posizioni lealiste, testimoniate da Paolo e da Luca, divenute poi nel corso della storia l’approccio maggioritario. Va da sé, ancora, che lo studio di Rinaldi supera l’idea desueta che la storia del cristianesimo antico fu una serie ininterrotta di persecuzioni e si propone di cogliere invece le peculiarità del rapporto di ostilità e/o di benevolenza che legò le autorità romane alle comunità cristiane.

Il volume si articola in tre parti, di cui daremo solo qualche rapido esempio con l’obiettivo di mettere in evidenza come la capacità di connessione di tutte le informazioni in nostro possesso abbia consentito a Rinaldi di pervenire a proposte originali e scientificamente documentate. La prima parte è dedicata ai grandi protagonisti e ai grandi eventi. Tra questi prendiamo a esempio Nerone, della cui attività persecutoria contro i cristiani l’autore mette in evidenza i limiti legati alla sola città di Roma e all’episodio dell’incendio del 64. Durante gli anni del suo principato si svolge quasi completamente l’attività di Paolo di Tarso, che fu giudeo e tale rimase fino alla fine dei suoi giorni, come ha dimostrato la storiografia recente, ma che allo stesso tempo percorse una via che lo condusse al di fuori delle comunità giudaiche. Per questo motivo, per comprendere la figura di Paolo e l’ostilità di Nerone verso i cristiani è necessario leggere criticamente le fonti e abbandonare il pregiudizio sul periodo neroniano, che oggi può essere considerato tutt’altro che privo di fermenti culturali.

Della seconda parte, dedicata alle spigolature neotestamentarie, soffermandoci su Atti 24,2-3, leggiamo l’esordio della requisitoria dell’avvocato Tertullo contro Paolo al cospetto del procuratore Felice: «La lunga pace di cui godiamo, grazie a te, e le riforme che sono state fatte in favore di questa nazione, grazie alla tua provvidenza, le accogliamo in tutto e per tutto, eccellentissimo Felice, con profonda gratitudine». Rinaldi inserisce questo episodio in una lunga e dettagliata analisi della figura del procuratore che, mettendo a frutto fonti storiche e documentarie, gli consente di dare una nuova e condivisibile interpretazione del passo in questione: «Luca, attribuendo a un menzognero nemico di Paolo un elogio di Felice, intese caratterizzare in termini negativi quest’ultimo e, pertanto, possiamo concludere che l’atteggiamento di Luca verso il nostro personaggio non si discosta da quello di Tacito e Svetonio».

Dell’ultima parte, che si diffonde in dettagliate presentazioni dei governatori di provincia, ricordiamo l’esempio di Arrio Antonino, proconsole d’Asia (187-188), che scacciò quei cristiani che chiedevano di essere resi martiri e che li riteneva, più che degli eroi, delle persone patologicamente inclini al suicidio; oppure il caso di Saturnio, proconsole d’Africa, responsabile del martirio di alcuni cristiani, del cui interrogatorio abbiamo il verbale: egli da un lato tentò di indurre gli imputati all’apostasia, dall’altra mostrò interesse per una raccolta di epistole paoline in possesso dei cristiani. Questo tipo di analisi che si sofferma sui singoli governatori ricostruisce un affresco di storia minore, ma di notevole importanza per chi voglia rinunciare a usare categorie astratte come “la Chiesa e l’impero” e preferisca approfondire la conoscenza delle realtà locali, in cui il rapporto tra magistrato e comunità cristiana rimase sempre determinante. In questa prospettiva tutti i fattori vanno messi a frutto, perché ogni storia, e quindi anche la storia del cristianesimo, si compone di vasi comunicanti, cioè di «diversi aspetti di un medesimo fenomeno, i quali rispecchiano la vivacità, la policromia, la permeabilità di idee e di correnti di pensiero della società di quell’epoca».

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