venerdì 21 gennaio 2022
Da un colloquio interreligioso tenutosi a Roma nasce un volume di saggi che gettano nuova luce su questo gruppo giudaico tanto famoso quanto poco studiato (verso cui permangono molti pregiudizi)
Miniatura raffigurante i farisei che presentano a Gesù malati e infermi, dal “Codice De Predis”

Miniatura raffigurante i farisei che presentano a Gesù malati e infermi, dal “Codice De Predis” - Alinari

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Cautela, molta cautela e ancora cautela, ogni volta che si parla di farisei. È materia complessa, su cui è facile dire sciocchezze, ossia cose antistoriche e frutto di mero pregiudizio. Proprio gli storici ci dicono quanto difficile sia ricostruire una storia dei farisei (con date precise, luoghi, nomi, credenze chiare e distinte). Ma forse il primo passo è decostruire gli stereotipi che si sono accumulati nei secoli su questo movimento ebraico di cui anche le origini sono poco note ma che troviamo attivo nella società del tempo di Gesù. Ecco il problema: la questione di chi erano i farisei si interseca con la lettura dei vangeli, i quali sembrano (va sottolineato) presentarli come 'nemici di Gesù'. Quel poco che si può ricostruire, sulla base del Nuovo Testamento, dei rotoli di Qumran, delle opere di Giuseppe Flavio e dei testi rabbinici, ci racconta una storia assai più sfumata e dinamica.

Come dice emblematicamente il biblista e teologo tedesco Jens Schröter, «ciò che sorprendentemente accomuna il Gesù storico e i farisei della storia è la nostra limitata conoscenza di entrambi... dimostrata dalla ricerca sul Gesù storico fin dai suoi inizi... e dal dibattito riguardo alle fonti sui farisei». Così si legge nel suo contributo agli atti del simposio sui farisei, promosso dal Pontificio istituto biblico di Roma e tenutosi alla Gregoriana nel maggio 2019, ora editi in italiano col titolo I Farisei (dopo l’edizione inglese) dalla San Paolo e dalla Gregorian and biblical press in un volume curato da Joseph Sievers e Amy-Jill Levine (San Paolo-Gregorian Biblical Press Pagine 430. Euro 45): uno storico cattolico della letteratura ebraico- ellenistica lui e lei una studiosa ebrea del Nuovo Testamento. Si tratta di venticinque saggi di studiosi cristiani ed ebrei, con vari registri disciplinari, che segnano una svolta scientifica e culturale nel tentativo di perseguire, sono parole di papa Francesco accogliendo i partecipanti al simposio, «una comprensione più matura e accurata dei farisei, che permetterà di presentarli in modo più appropriato nell’insegnamento e nella predicazione».

La domanda di fondo resta: chi sono stati davvero i farisei? O meglio: su quali fonti possiamo contare per conoscerli? Nei Vangeli i farisei sono citati 97 volte; in Giuseppe Flavio 44 volte; negli scritti di Qumran si parla di loro trasversalmente; anche le fonti rabbiniche non usano spesso il termine 'fariseo', la cui etimologia polisemica non aiuta affatto a qualificare il gruppo così chiamato, che nelle pagine evangeliche sembra un partito ideologicamente omogeneo e politicamente potente. Ma i Vangeli non sono testi scritti con finalità storiche, hanno una logica religiosa con cui raccontano gli eventi, e nel caso dei farisei ci descrivono 'personaggi' più che persone, sebbene a una lettura attenta si apprenda che erano un gruppo tutt’altro che omogeneo, che condivideva almeno in parte le stesse idee di Gesù. Inoltre sappiano che molte polemiche tra Gesù e i farisei erano 'discussioni accademiche' frequenti proprio nelle scuole farisaiche o tra i diversi partiti della società ebraica del I secolo. Ma quanto diverso era Gesù dai farisei, se ne condivideva lo stile di insegnamento e di studio della Torà, se credeva come loro nella resurrezione, se frequentava con loro le sinagoghe e come loro non disdegnava la vicinanza con la gente semplice? Di nuovo serve cautela.

Massimo Grilli e Joseph Sievers, che firmano il sintetico e illuminante saggio conclusivo del volume, scrivono che Gesù e i farisei «erano vicini ma non legati». Su alcune questioni specifiche (come il divorzio) Gesù sembra più vicino ai sadducei che ai farisei, incline a una lettura tradizionalista della Torà più che a un’interpretazione innovativa, come quella a cui erano inclini i farisei. Se dunque il rapporto tra Gesù e il movimento farisaico non è facilmente definibile, come non lo è quello con sadducei ed esseni (o chiunque fossero questi contestatori dell’establishment del Tempio), ancor meno è facile stabilire nessi precisi tra quel movimento - di cui è possibile fare nomi importanti, quali Shimon ben Shetach o Antioco di Sokò, ma anche i più noti Hillel e Shammai - e i maestri del giudaismo che venne organizzandosi e ristrutturandosi all’indomani della distruzione di Gerusalemme. Ma perché questo termine non compare quasi mai nella prima letteratura rabbinica? Forse perché era già prevalsa un’accezione negativa? O forse perché il nome venne poi a designare altro? Cosa significa la qualifica qumranica di «coloro che cercano le cose lisce» data ai farisei? Significa forse che il loro approccio alla Torà cercava di semplificare le norme bibliche per adattarle alla semplicità (leggi: alle debolezze) del popolo, "lisciandole" cioè alleggerendone i rigori? Infine, quanto la conoscenza dell’estesa letteratura rabbinica (targumim, midrashim, trattati mishnici e talmudici) ci aiuta a capire chi fossero, cosa credessero e come vivessero secondo la Torà?

Resta il fatto che per due millenni il termine fariseo ha significato ipocrita, avido, legalista... quando, forse, è vero il contrario. La loro fiducia che la «Torà parla la lingua degli uomini» ossia che la Legge vada sempre interpretata li ha esposti a critiche da destra (dai letteralisti come i sadducei e i qumranici) e da sinistra (come paiono fare alcune pagine evangeliche). «Soltanto un’indagine condotta su basi storiche e teologiche rinnovate e più rigorose può condurre a un ripensamento di questa immagine» scrivono ancora Grilli e Sievers, convinti che «le scoperte di tale nuova ricerca potranno contrastare stereotipi diffusi ». Ovviamente una tale ricerca, condivisa da studiosi di fedi diverse, fa compiere passi avanti nei rapporti tra mondo ebraico e mondo cristiano.

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