mercoledì 29 aprile 2009
Il quotidiano «La Croix» chiede a dieci intellettuali e teologi di scrivere una lettera ai credenti che provano disagio dopo i casi recenti in cui la Chiesa è stata attaccata dai media Da Radcliffe a Vanier, da Etchegaray a Marion emerge una valutazione non solo critica del malessere. Guillebaud: «La storia del cristianesimo ha visto sempre coesistere istituzione e protesta»
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«Lettere ai cattolici tur­bati» . La Croix, il quo­tidiano cattolico fran­cese, ne ha pubblicate 10 ( firma­te da altrettanti personaggi della spiritualità) e ne ha ricevute in cambio diverse centinaia. Non male. E non solo dal punto di vi­sta del riscontro comunicativo, giornalistico; anche come segna­le del bisogno della gente, dei credenti cosiddetti « comuni » , di parlare di questi temi un po’ scottanti « a casa loro » , di discu­tere, confrontarsi, magari solo di sfogarsi – che già è un modo per sentirsi ascoltati. L’iniziativa del giornale d’Oltral­pe è semplice ma coraggiosa: di fronte – parole sue – a « una crisi della Chiesa dai molteplici sinto­mi » ( dai malintesi sui lefebvriani a certi pronunciamenti sull’eti­ca), che non soltanto vede il Pa­pa sotto attacco da parte dei mass media « laici » ma anche un diffuso malessere tra i credenti, il quotidiano ha deciso di prendere il toro per le corna, chiedendo a vari teologi e intellettuali di ri­spondere al disagio di non pochi cattolici esprimendo la loro sof­ferente o serena, spontanea o pensosa ma comunque perma­nente fede cristiana. Mettendo in pubblico insomma il motivo per il quale continuano a fidarsi della Chiesa. Ne è sortito un dibattito a punta­te assai ricco, con appendice non meno densa di repliche e ag­giunte dei lettori: a ennesima conferma che, anche nelle cose di religione, non tutto il male viene per nuocere. Comincia la filosofa Marguerite Léna, della Comunità Saint- François- Xavier, che a proposito dei vari « scanda­li » scoppiati ultimamente sulla stampa intorno a parole o azioni vaticane osserva a mo’ di pre­messa: « Ma basterebbe spiegarsi meglio per dissipare ogni malin­teso? Non credo. La parola della Chiesa, anche se pronunciata con umiltà e amore ( o forse pro­prio per questo), sarà spesso ri­cevuta con animosità e violenza. Bisogna accettare di essere og­getto di derisione, talvolta di o­dio; bisogna accettare di non es­sere capiti. E tuttavia occorre cercare di esserlo... » . Realismo dunque, anzitutto; e un giudizio "spirituale" sugli av­venimenti. Per esempio quello di Timothy Radcliffe, già Maestro dell’ordine domenicano: « Noi re­stiamo nella Chiesa perché sia­mo discepoli di Cristo. E, secon­do un vecchio adagio latino, u­nus christianus, nullus christia­nus: un cristiano isolato non è un cristiano. Una vaga unità spi­rituale non basta. Noi crediamo nell’Incarnazione, la Parola di Dio che si fa carne » . Impostazio­ne che sembra condivisa dalla teologa moralista nonché religio­sa Véronique Margron: « Ritorna­re ai fondamenti. Abbracciarli. La mia forza oggi è restare ai pie­di della croce. Sì, io resto in que­sta Chiesa, popolo di peccatori dei quali faccio parte » . D’altronde – chiosa l’arcivescovo di Poitiers Albert Rouet « la Chie­sa non esiste per piacerci, ma per convertire al Vangelo. E una Chiesa ai quattro venti, grano se­minato, sale nella pasta, lievito in azione esiste, continua » . Il ca­nadese Jean Vanier, fondatore della Comunità dell’Arca, addita un esempio: « Certo, ci sono tur­bolenze nella Chiesa. Ma ogni crisi è un richiamo e un’occasio­ne per collocarsi meglio nel pro­prio cammino di comunione con Gesù e con i più poveri e privi di mezzi, e con il Papa e i vescovi. Non bisognerebbe che ci fossero sempre più comunità e movi­menti che cerchino di vivere non solo i principi morali, ma i prin­cipi annunciati nel Vangelo, le Beatitudini? » . Lo scrittore e saggista convertito Jean- Claude Guillebaud non si spaventa: « Accanto a un cristia­nesimo della potenza e dell’isti­tuzione, è sempre esistito un cri­stianesimo della protesta, che non risparmia neppure l’istitu­zione stessa. Per secoli, la storia del cristianesimo si è organizzata intorno a questa strana – e ma­gnifica – sinergia tra ' contesta­zione evangelica' e ' organizza­zione ecclesiale' » . Più ancora: « Sono i contestatori e i mistici che hanno tramandato il fuoco della Parola. Francesco d’Assisi, Teresa d’Avila... La straordinaria longevità del cristianesimo trova lì la sua origine: un’istitu­zione periodicamente ri­svegliata dai suoi stessi dissidenti. Senza la prote­sta venuta dai margini, il messaggio sarebbe inde­bolito o persino estinto» . Tuttavia « come mai tanti cristiani – si chiede il car­dinale Roger Etchegaray, già presidente del Pontifi­cio Consiglio Iustitia et Pax –, a furia di essere e­sigenti, si mostrano così ingiusti nei riguardi della Chiesa? Il cristiano non è un nomade che s’allonta­na dalla Chiesa quando essa trema per l’inverno, per ritornarci quando fio­risce a primavera. È un uomo delle quattro sta­gioni... E la Chiesa ha bi­sogno di essere riformata tanto quanto amata, per­ché c’è vera riforma solo nell’amore » . L’unico italiano chiamato da La Croix, il monaco Enzo Bianchi, è forse il più ottimista: « Questi tempi non sono tristi per la Chiesa, sono giorni di speranza. Oggi viviamo una stagione in cui la pa­rola di Dio risuona con forza e abbondanza nella Chiesa e – attraverso essa – nel mondo » ; più la rea­lizzazione del Concilio tenta di avanzare, più op­posizione incontrerà: ma « da questo momento dif­ficile può nascere per la Chiesa, e ancor più per il mondo, la grande grazia della riconciliazione » . Pure il filosofo Jean- Luc Marion, accademico di Francia, esorta a non te­mere il conflitto: anzitut­to esso dimostra che « quando si tratta di mo­rale, non si può prendere sotto gamba ciò che dice » la Chiesa, anche se « i no­stri contemporanei non vogliono sentirselo dire » ; e poi « occorre imparare la cultura di minoranza, se possibile attiva » . Per­ché accettare « il conflitto col mondo si giustifica solo quando il mondo ci rimprovera la nostra san­tità, non come comoda scusa per giustificare gli errori e i difetti dei cattolici » . Infatti c’è chi domanda qualche cambiamento nella Chiesa; per esempio la storica Elisabeth Dufourcq: « Dopo 2000 anni di autorità antica, sembra giunto il momento d’inaugurare il dialogo tra apostoli e fedeli. È difficile, è rischioso, ma è un dovere. Dove: su Internet, sui blog? Perché no... Ma un modo bisogna trovarlo: non si può più rifiutare l’investi­mento responsabile di coloro che saranno restati fedeli. Il prin­cipio d’autorità che ha cementa­to la Chiesa dagli Atti degli apo­stoli in poi può trovare altre for­me » . Anche la giornalista e teolo­ga Anne Soupa chiede di « darsi luoghi e momenti per vivere dav­vero il dibattito nella Chiesa, moltiplicare le iniziative per di­battere a viso scoperto, con ri­spetto, senza scomuniche e so­prattutto con intenti costruttivi. Oggi abbiamo tutti bisogno di contatto diretto, di una prossi­mità quasi carnale. Di una Chie­sa che sappia invitarci intorno al fuoco e mettere le sedie in cer­chio per parlare » . La crisi? Un’occasione.
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