Un particolare della copertina del libro Bambi - Libro Giunti
Difficile nominare Bambi e non pensare al cerbiatto dagli occhi grandi e le zampette malferme, principino della foresta amichetto del cuore di Tamburino il leprotto e di Fiore la puzzola, che Walt Disney ha portato sul grande schermo nel 1942, piena seconda Guerra Mondiale, ottenendo ben tre nomination agli Oscar.
Visto, rivisto e restaurato è ora in attesa di un remake live-action di cui è noto un solo dettaglio: sarà meno drammatico dell’originale per adattarsi alla sensibilità del pubblico infantile.
Pubblico che con Bambi ha qualche conto in sospeso. Come dimenticare di aver tremato all’irruzione sullo schermo dei cani inferociti che inseguono il cerbiatto, all’incendio divampato nella foresta e al terrore dei suoi abitanti, come non ricordare di aver annegato nelle lacrime l’uccisione di mamma cerva. Generazioni di adulti hanno ancora sul cuore il botto di quello sparo e la vocetta disperata di Bambi che invano invoca la mamma caduta sotto il fuoco di Lui, l’infame cacciatore senza volto che uccide per sport. Tutto dire se Stephen King lo ricorda come il primo film horror della sua vita.
Pensato per bambini, del resto, non era neppure il libro da cui il film nasceva, discostandosene non poco e persino oscurandolo.
Perché va subito detto che il libro è un’altra cosa rispetto all’adattamento edulcorato in puro stile Disney, ovvero una favola sulla nascita, infanzia e crescita di un giovane cervo che deve cavarsela da solo nella foresta, destinato, con un bel lieto fine a sostituire il principe padre e a farsi una famiglia con la cerbiatta dalle ciglia chilometriche. Fine.
Ed è facile rendersene conto avendo in mano questa nuova raffinata edizione di Bambi. Una vita nel bosco proposta da Giunti (pagine 220; 29,90 euro) impreziosita dal lavoro di un maestro dell’illustrazione contemporanea come Fabian Negrin, le cui tavole dialogano con il testo in un modo che a questo punto è difficile pensare all’uno senza le altre. Un regalo alla letteratura, non solo per ragazzi, che rende giustizia a Felix Salten, pseudonimo di Siegmund Salzmann, ebreo di origine ungherese che Bambi scrisse cento anni fa, nel 1923, pubblicandolo a Vienna, dove viveva.
Tradotto e uscito in America nel 1928 conquistò Walt Disney, notoriamente appassionato delle storie di animali, che pagò mille dollari di diritti a Salten allora in gravi ristrettezze economiche. In Europa invece, anzi in Germania, Bambi insieme con altri libri di Salten, venivano proibiti dai nazisti, considerati propaganda ebraica e messi al rogo, mentre l’autore dopo l’annessione dell’Austria alla Germania riusciva a fuggire in Svizzera dove sarebbe morto nel ’45.
Il fatto che il libro fosse stato concepito in anni di forte antisemitismo e di nazismo nascente ha contribuito a una sua lettura in chiave politica. Con la foresta in cui il capriolo viene cacciato e lotta per la sopravvivenza diventate allegoria del razzismo e della persecuzione degli ebrei.
Un’operazione di denuncia sotto traccia, dunque, del clima di terrore cui erano condannati gli ebrei costantemente minacciati dai nazisti come gli animali selvatici dai cacciatori.
Eppure Bambi racchiude molto altro, con cento anni sulle spalle, per esempio, ci rimanda un interrogativo sul nostro posto nel mondo e uno sguardo disincantato sul mondo della natura. Pur dentro la favola, dove gli animali parlano ma non sono umanizzati, il capriolo Bambi viene al mondo in un bosco vero, la foresta brulicante di suoni, odori e animali diversi, dove s’impara in solitudine a sopravvivere, dove non c’è nulla di dolcemente romantico, al contrario con il tragico all’ordine del giorno e la legge del più forte che vince su tutto.
Dove il pericolo arriva all’improvviso, perciò bisogna stare sempre all’erta: la puzzola mangia il topo e non per cattiveria, le ghiandaie saccheggiano i nidi, i falchi volteggiano in aria in cerca di prede. La poiana e la civetta non vanno per il sottile quando hanno fame.
Tutto è nell’ordine delle cose, il tempo e la vita; l’avvicendarsi delle stagioni costringe a sofferenze e perdite, persino le foglie sanno che la loro morte in inverno ha un senso e che, sebbene sia triste, devono abbandonare il loro posto perché altre più tardi arriveranno. E poi c’è l’eco di Lui, l’ombra nera del cacciatore senza nome e senza volto, lo strano animale che uccide da sempre senza un perché, maneggiando lampi di fuoco e tuoni devastanti. L’umanità violenta e spietata ma non priva di fragilità, forse un giorno capace di riconciliarsi e dialogare, di riconoscersi parte di quel mondo altro. Che grazie alle favole può ancora parlarci.