martedì 25 febbraio 2014
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Quando, domenica prossima, saranno sedute nella platea del Dolby Theatre di Hollywood le dieci attrici candidate all’Oscar come migliori protagoniste e non, tra loro non ci saranno colleghe adolescenti. Lo scorso anno Quvenzhané Wallis, candidata per Re della terra selvaggia, con i suoi nove anni aveva battuto il record dell’età (Tatum O’Neal l’Oscar lo vinse a undici anni con Paper Moon), anche se fino al 1961 era stato più volte assegnato, senza regolarità, un Oscar Giovanile, il primo nel 1935, naturalmente alla bambina prodigio Shirley Temple, recentemente scomparsa. Avrebbe meritato, però, di essere inserita nell’elenco la canadese Sophie Nélisse, che il 27 marzo di anni ne compirà quattordici. E proprio in quel giorno uscirà nelle sale italiane Storia di una ladra di libri, di cui è intensa protagonista. Tratto dal bestseller di Markus Zusak – pubblicato nel 2005 –, il film racconta le tragiche esperienze di gioventù di Liesel, che vive in un periodo in cui le parole sono ordini di morte o urla di terrore, gli anni del Nazismo. Trova rifugio in una povera famiglia che tenta di proteggerla. Ma un rifugio altrettanto sicuro sarà per lei la lettura di quei libri che comincerà a rubare, mentre nella piazza del paese i nazisti li bruciano. Di quelle pagine si è innamorato Brian Percival, regista di alcuni capitoli della serie televisiva Downton Abbey. Affascinato soprattutto dalla figura di Liesel. «Perché, pur non sapendo leggere e scrivere, abbandonata da sua madre, estranea al mondo che la circonda, riesce con la forza dell’intelligenza e della determinazione a costruire qualcosa di positivo e a condurre alla fine una vita piena di gioia e di successo. Per me è la storia della forza dello spirito umano e di come una ragazzina senza alcuna speranza riesca a vincere l’oscurità». La famiglia che adotta Liesel vive in Himmelstrasse, ossia Via Paradiso. Ironia o metafora? «Credo entrambe. Quando la ragazzina arriva in quella strada per la prima volta, si accorge che non è un paradiso, ma uno strano mondo in cui è costretta a fare i primi passi. Incontrerà anche tedeschi che la aiuteranno, che si oppongono al nazismo, che non si lasciano corrompere. Come la sua nuova famiglia, preservando quella fibra morale che mette nella condizione di distinguere il bene dal male».Geoffrey Rush e Emily Watson recitano nel ruolo dei genitori "adottivi" di Liesel. Che cosa ha significato per lei avere a disposizione questi due grandi attori?«Geoffrey è stata la prima scelta per il ruolo di Hans, non avevo dubbi che sarebbe stato il migliore. Gli è piaciuta subito l’idea di quest’uomo totalmente comune in superficie, ma che sotto è davvero straordinario, dotato di una forza morale inconsueta. Mettere al suo fianco Emily nella parte della moglie Rosa è stata una scelta altrettanto naturale. Da parte sua è stato coraggioso accettare il ruolo di una donna per niente attraente, che nel romanzo è descritta come un "armadio", una persona amareggiata e contorta, ma che alla fine aprirà il suo cuore».Nel film si afferma la forza della parola come strumento di libertà. Crede che anche l’immagine possa avere lo stesso potere?«Certo, però è altrettanto vero che nel cinema l’unione di parola, fotografia, musica, recitazione crea un impatto altrettanto potente. Come sceneggiatore e scrittore, però, tengo a ricordare che ciò che vediamo sullo schermo è iniziato con una parola scritta da qualche parte, sulla pagina di un libro.La Morte, voce narrante, sembra provare timore nel dover far visita a Liesel quando il suo tempo è arrivato».«La Morte guarda a tutta la sua vita terrena e penso che non sia spaventata nel doverla cogliere, ma abbia per questa anziana donna soltanto un profondo rispetto. Credo che questa considerazione della Morte dinanzi a Liesel significhi che se una persona nella vita fa ciò in cui crede e fa il bene, allora quel momento finale assume tutt’altro significato».

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