sabato 17 settembre 2022
La mistica tedesca creò iconografie per comunicare le sue visioni, accompagnate sempre dalla spiegazione a voce di Cristo. Due volumi le rendono disponibili anche in Italia
Miniatura dallo “Scivias” (Codex Hildegardis II, 2), 1165 circa

Miniatura dallo “Scivias” (Codex Hildegardis II, 2), 1165 circa - WikiCommons

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Quando Goethe visitò la Biblioteca di Wiesbaden durante le sue escursioni nella Valle del Reno (1814, 1815), e gli furono presentati i volumi ben ordinati dei monasteri soppressi dagli ordinamenti napoleonici, rilevò: «Un antico manoscritto, contenente le visioni di santa Ildegarda, è notevole». Merkwürdig, l’aggettivo che usa, è sobrio. Non significa stupefacente, sbalorditivo, in reazione a qualità che suscitano ammirazione assoluta, ma si riferisce all’insolito e fuori del comune, singolare e degno di nota. Eppure le immagini delle miniature, e soprattutto l’immagine originaria di lei, Ildegarda, continuarono a lavorare dentro la sua "alta fantasia", e trovarono nelle sue ultime opere, nel finale del Faust II, e nei Wanderjahre, due diverse interpretazioni dell’orientamento dell’armonia mundi, che sembrano ispirate proprio da Ildegarda.

Il codice visto da Goethe, era quello di Scivias (sci vias: "conosci le vie"), redatto tra il 1141 e il 1150, l’Hs1 Rupertsberg, che sarebbe scomparso nel 1945 a Dresda, ma che fortunatamente le monache avevano riprodotto tra il 1927 e il 1933 a Eibingen: il primo racconto delle visioni che la voce di Dio impose di scrivere a Ildegarda, insieme al Liber vitae meritorum (1158-1163) e al Liber divinorum operum (1163-1174).

Solo Scivias e il Libro delle opere divine sono miniati. Di Scivias Claudio Leonardi pubblicò estratti, e due delle trentacinque tavole nel 1992, nel quinto volume de Il Cristo, per la Fondazione Valla, mentre il Libro delle opere divine, curato da Marta Cristiani e Michela Pereira per i Meridiani Mondadori nel 2003, si può leggere per intero, scorrendone le dieci tavole del manoscritto 1942 conservato a Lucca. Ma oggi possiamo ammirare tutte le miniature delle due opere dipinte di Ildegarda, in grande formato, nei due ricchissimi volumi curati da Sara Salvadori per Skira (Scivias. Viaggio nelle immagini, pagine 222, euro 46,55; Liber Divinorum Operum, Nel cuore di Dio, pagine 144, euro 33,25).

Sollecitata da Giorgio Mazzanti, sostenuta da Michela Pereira, massima studiosa di Ildegarda, Sara Salvadori interpreta le visioni, con un processo identificativo. Colpita dall’unità quadrimensionale con cui Ildegarda "vedeva", entra nel profondo della genesi delle visioni. Le analizza, scompone e ricompone in quelle forme tridimensionali che le miniature non possono rappresentare. Ildegarda aveva sempre sentito la voce che le spiegava le sue visioni. Vedeva con i propri occhi interiori, dice, senza esaltazioni fisiche o psichiche, mentre serbava la totale lucidità percettiva della realtà circostante. È il terzo tipo di visione nella classifica di Riccardo di San Vittore. Ne scrive a Gilberto di Gembloux: «il mio spirito sale in alto, nelle altezze del firmamento, in aria diversa, e si dilata tra differenti nazioni, per quanto siano in regioni remote, in luoghi distanti da me. E dato che vedo tali cose in tale modo, perciò le osservo anche nelle forme mutevoli delle nubi e di altre cose create. [...] vedo tali cose da sveglia, giorno e notte. E sono costantemente tormentata da malattie, e tanto presa da forti dolori, che minacciano di condurmi a morte; ma finora Dio mi ha sorretto. La luce che vedo non ha spazio, ma è molto, molto più luminosa di una nuvola che avvolga il sole. [...] la chiamo “l’ombra della luce vivente”. E come il sole, la luna e le stelle si rispecchiano nell’acqua, così la Scrittura, i discorsi, le virtù e alcune opere di uomini prendono forma per me e si riflettono luminosi in quella luce».

Il dono di questa intimità con il cosmo rende unica Ildegarda, sostanzia ogni suo atto, le conferisce l’autorevolezza profetica che raggiunge presso i contemporanei: umili o potenti, papi e imperatori; essa non si esaurisce nemmeno nel futuro. Nella teologia cristologica ed eucaristica di Ildegarda, lo Spirito santo riconduce alla Chiesa la forza della profezia nell’abbagliante configurazione della forma femminile: simbolo anche dell’essenza spirituale dell’Aura, che il Medioevo esprime in tutta la sua feconda bellezza, risplendendo nelle mandorle e nei cerchi concentrici di luce e di fuoco, di queste miniature.

Se l’immagine del cosmo in forma d’uovo della quarta tavola di Scivias richiama i simboli più antichi, il manto del cielo stellato di Iside – «attraverso questo massimo strumento in figura di uovo, che è l’universo, si manifestano le cose invisibili e le visibili» – quella di Cristo lapis è pietra angolare: «Sopra il monte sta l’edificio quadrangolare della salvezza. Il Figlio di Dio è la Pietra d’angolo, l’opera eletta tra gli uomini che congiunge sino alla fine» ( Scivias, T. 21). La Trinità è una «meravigliosa figura dall’apparenza umana... L’energia suprema... vita ignea dell’essenzialità divina»: compare nella prima visione del Libro delle opere divine. Nella Trinità dinamica che muove tutto attraverso vis, virtus et viriditas, Cristo è al centro del divino e dell’umano. Nasce dall’incontro tra la luce e le tenebre, come la luce di zaffiro dell’aurora, regale e purpurea, nella sommità. Cristo salva e unisce, continua Dio nell’uomo. Tutto è connessione sinfonica, nell’anima "viridità" del corpo: nella natura, che manifesta Dio, in attesa del reditus del mondo al suo principio, quando «tutte le creature erano verdi».

La potenza delle immagini, che continua a lavorare sotterranea in Goethe, è il nerbo della lingua, poiesis della Parola-pensiero, nella concezione del mondo, che Ildegarda incorpora. In quella potenza consiste la forza della profezia: l’espressione che oltrepassa il tempo segnato dal limite. Il Faust II si chiude con il Coro mistico dove si compie l’indescrivibile, e Das Ewig-Weibliche, l’eterno femminino, «ci attira verso l’alto». Il desiderio del ritorno alla propria stella trasforma in stella. Sulle tracce del Timeo di Platone Goethe aveva percorso le corrispondenze al ritmo celeste, fino al personaggio di Natalie nel Wilhelm Meister; ma ecco che, nei Wanderjahre, la figura di Makarie è un astro: quello di Venere, che contiene in sé un intero sistema solare, come Ildegarda ospitava l’anima cosmica.

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