martedì 4 maggio 2010
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Quando all’inizio del film la vedi arrivare a L’Aquila travestita da premier, temi il peggio. Cioè è che tutto si risolva in una satira un po’ faziosa fondata sullo sberleffo tipico di un antiberlusconismo sterile. E invece nel suo ultimo documentario, Draquila - L’Italia che trema, ambientato tra i terremotati dell’Abruzzo, Sabina Guzzanti non punta per niente a far ridere. Non lasciatevi dunque fuorviare dall’ironia del titolo: il film che arriverà venerdì nelle sale distribuito da Bim e che avrà un posto speciale al prossimo Festival di Cannes, dove troveranno inevitabilmente spazio anche dibattiti e polemiche, è «una feroce inchiesta sul potere di pochi e la rassegnazione di tanti, sulla propaganda e la bolla speculativa post sisma, sui media e le menzogne, sulla censura e la colpevole assenza dell’opposizione».Insomma, siamo più dalle parti di Michael Moore che dalla classica Guzzanti. Se nei suoi film precedenti Sabina aveva spesso lasciato che il proprio ego prendesse il sopravvento, qui sembra voler far parlare i fatti.Il film-inchiesta parte all’indomani del terremoto e del G8 quando la Guzzanti arriva a L’Aquila con una piccola troupe di tre donne e una camera digitale, senza sapere esattamente cosa troverà. Dopo un anno di lavoro, 700 ore di girato, centinaia di interviste e colloqui, dati, statistiche, documenti ufficiali, la regista sostiene con il suo lavoro la seguente tesi: «L’Aquila è un esperimento per testare, in un microcosmo facilmente controllabile e militarizzato, come si possano violare i diritti civili e i principi costituzionali senza che nessuno se ne accorga. E mentre pochi protestano indignati e tanti gridano al miracolo Berlusconi per le case ricevute a tempo di record (case che poi dovranno rendere con tutto quello che c’è dentro, scopa compresa; case nelle quali è proibito persino piantare chiodi per appendere quadri), la tenda del Pd resta vuota e gli urbanisti delle newtown sognano di sostituire centri commerciali ai centri storici».Il docu parte con due gaffe: quella di Marcello dell’Utri che in una intervista si fa sfuggire «sono mafioso» e quella di Berlusconi che afferma come abbia speso "200 milioni di euro per giudici e avvocati». Poi arrivano tutta una serie di interviste ad abitanti dell’Aquila tra cui, molte, del tutto positive nei confronti del premier che ha dato loro una casa con tanto di spumante nel frigorifero. Tra gli aspetti in cui si dilunga il documentario è l’isolamento dei campi di accoglienza allestiti dalla protezione civile in Abruzzo. A parlare di malaffare e politica intervengono magistrati come Antonio Ingroia, che torna sui ventilati finanziamenti mafiosi per la costruzione di Milano 2, vera svolta economica del giovane Berlusconi imprenditore. Insomma, Sabina stavolta non punta far sorridere ma a farlo inorridere, mostrandogli un presente capace di togliergli una parte di sonno.
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