mercoledì 30 giugno 2010
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Il contesto specifico non è tra i più conosciuti in Italia: la guerra d’indipendenza dell’Algeria dalla Francia, con tutto il suo carico di morte, violenze, torture… Ma il tema è di quelli davvero universali e che non conosce tempo. Si ispira al quinto comandamento: «Non uccidere». E si traduce in una scelta di obiezione di coscienza, ispirata direttamente dal Vangelo. Una scelta tuttora di grande attualità, che interpella le coscienze di tutti, in un mondo disseminato di guerre e conflitti, spesso mascherati dietro altri nomi. Cambia la forma, non la sostanza.Quella «sostanza» l’aveva compresa a fondo una giovane recluta francese appena ventenne, Jean Pezet, che con grande lucidità e coraggio aveva saputo guardare in faccia la guerra d’Algeria per quella che era: violazione sistematica dei diritti umani, accompagnata da efferate torture, violenze, stragi. Il bilancio finale parlerà di oltre un milione di morti algerini. Una ferita ancora aperta tra i due Paesi e che continua a fare discutere, litigare, soffrire. Giugno 1961. Gare de l’Est, Parigi. Un gruppo di una quarantina di prigionieri è in arrivo da Metz. Pezet è legato mani e piedi a un altro detenuto. «Quanti anni ti hanno dato?», chiede. «Dovrebbero essere cinque». «Anch’io. Furto con scasso. E tu?». «Non voglio andare ad ammazzare in Algeria». «Di’ piuttosto che non vuoi farti ammazzare…». «Forse c’è anche questo».Un gruppo di passeggeri li osserva. Pezet cerca di mantenere la testa alta. «È per voi che sono trattato così!», vorrebbe gridare. «Per denunciare la violenza, la tortura. Capite?».Molti non hanno capito e non capiscono neppure oggi. Pezet sconterà effettivamente tre anni di carcere. Senza rinnegare nulla della sua scelta. Il suo cammino interiore, la maturazione di quella decisione – anche contro il parere di alcuni uomini di Chiesa – il radicamento nel Vangelo di quella scelta nonviolenta, accompagnata da preghiere e digiuni, sono raccontati nel suo diario. Che non poteva avere che un titolo, Tu non ucciderai.Una testimonianza viva, profonda e coraggiosa, che anche in Francia non è stata capita. Quell’obiezione di coscienza continua a turbare molti cuori, anche a diversi anni di distanza dalla fine di quella sporca guerra. E infatti il diario è stato pubblicato solo molto tempo dopo, nel 1994, a spese dello stesso autore. Ma quello di Pezet è un messaggio che va oltre il contesto storico e geografico in cui è maturata la sua esperienza. Il suo testo, il cui sottotitolo recita Diario di un obiettore di coscienza alla guerra di Algeria, è uscito da poco in Italia per i tipi della piccola casa editrice Il pozzo di Giacobbe (pagine 159, euro 18,00), che tra l’altro ha un’interessante collana intitolata Oi Christianoi, nuovi studi sul cristianesimo nella storia. Tale volume può essere un’occasione per tornare a riflettere sul senso di scelte che riguardano non solo i politici o i potenti, ma anche tutti noi. Un invito alla responsabilità, che nasce dalla conoscenza e dalla consapevolezza, che trae ispirazione e nutrimento da una profonda spiritualità e si aggrappa a una tenace capacità di resistenza. «È proprio il fermento del Vangelo – scrive Pezet – che innalza progressivamente la conoscenza del diritto e la comprensione delle cose divine. Se perdi la speranza, se rinunci, il male prende il sopravvento e la nobiltà interiore retrocede, in te e intorno a te. Se resisti, se attingi la fiducia nella preghiera, che è un dialogo con Dio, se credi che il Signore conduce l’umanità al superamento dei suoi crimini e all’accesso alla santità, allora la tua lotta ritorna ad apparirti utile, indispensabile: ritrovi la tua identità di figlio di Dio».La versione italiana del libro di Pezet è arricchita da tre testi, che offrono ciascuno un reale valore aggiunto all’opera: la prefazione del vescovo emerito di Caserta, Raffaele Nogaro, l’introduzione di Enrico Peyretti, che molti anni prima aveva «scovato» questo libro nel monastero di Tamié e lo ha segnalato all’amico Sergio Tanzarella, curatore della collana e autore di un’ampia postfazione che contestualizza–- non solo storicamente, ma anche indagando il ruolo dei cristiani di fronte alla guerra – l’esperienza di Pezet.
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