sabato 11 novembre 2023
Il cantautore alla Statale di Milano parla agli studenti della sua musica e presenta il nuovo disco "Canzoni da osteria".
Guccini, il Maestrone fa scuola all’osteria

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Il quarto d’ora accademico del Maestrone si è quadruplicato ieri nell’Aula Magna dell’Università Statale di Milano, gremita di studenti e giornalisti per l’uscita del secondo capitolo del suo ideale, e reale, “canzoniere”. «Pavana ha meno traffico di Milano, si circola meglio» prova ironicamente a motivare il ritardo l’83enne gigante del cantautorato nostrano. Un anno fa esatto era uscito, a distanza di un decennio dal precedente album in studio (L’ultima Thule), Canzoni da intorto, album fisico più venduto del 2022 con 51mila copie che è anche valso a Guccini il Premio Tenco come “migliore interprete”.

Ieri ha preso il volo Canzoni da osteria (Bmg, solo in formato fisico) con le penne nere del Coro Alpino Orobico a precedere sul palco il Maestrone cantando il brano che apre il disco, Bella ciao. «Ho scelto Bella ciao perché è diventata una canzone misteriosamente internazionale. Non è una canzone partigiana, pure se passa come tale: la cantavano anche le mondine nelle risaie. Poi non solo è stata cantata nella serie La casa di carta ma è anche diventata il simbolo della protesta della donne iraniane contro la teocrazia iraniana. Volevo fare un omaggio a loro». E nella versione rivisitata contenuta nel nuovo disco c’è però una non secondaria impronta d’autore. «Ho cambiato una parola: ho messo “oppressor” al posto di “invasor”. C’è differenza» spiega Guccini. Un canto di libertà, di protesta.

Un omaggio che il cantautore fa all’Iran. In particolare, alle donne obbligate al velo e a umilianti restrizioni che decidono di scendere in strada e intonarla, «perché lì non c'è invasione, ma oppressione». Poi ironizza: «L’Italia non è ancora una teocrazia, e questa è una bella soddisfazione». Riesce così a essere di potente attualità Guccini anche riproponendo una raccolta di vecchi canti popolari, personalmente selezionati e rivisitati. Quattordici brani in tutto, con gli arrangiamenti di Fabio Ilacqua che ne ha seguito anche la produzione artistica affiancato da Stefano Giungato.

Un'ampia varietà di strumenti e sonorità accompagna la voce a tratti ancora brillante di Francesco Guccini (spesso raddoppiato da cori per riempire tutti gli spazi sonori vocali), tra lingue e generi musicali differenti, dal catalano (La tieta di Juan Manuel Serrat Teresa, che Guccini aveva già cantato, tradotta in dialetto emiliano, nell’album Ritratti del 2004), fino al bolognese. «Saranno proprio i bolognesi i più critici rispetto alla mia pronuncia da provinciale modenese» scherza.

Un nostalgico viaggio attraverso culture, popoli e tradizioni, italiane e internazionali. Canzoni che Guccini ha imparato e intonato da universitario a Bologna, ateneo che alla fine degli anni Cinquanta era molto frequentato da studenti stranieri anche da Oltreoceano. Quelli che da docente di lingua italiana per stranieri nella sede dell'università americana Dickinson College portava alle Feste dell’Unità. Un mix di influenze che vedeva poi anche nelle osterie (ma non di fuori porta…) una sorta di mondiale crogiuolo. Erano tre le proverbiali osterie di Guccini, che definisce comunque una «favola» il fatto che ne fosse un assiduo frequentatore. «Quella che mi descrive come esperto di osterie - dice - è solo una leggenda. Ne ho frequentate poche, ma a cominciare dagli anni dell'università. In quella Bologna di allora si incontravano studenti americani, greci e di altre nazionalità. Poi capitava anche di incontrare Lucio Dalla e la sua banda, così come tanti altri». E ricorda l’osteria dei Poeti, che chiudeva alle 20 e lo «illudeva che per via del nome fosse un luogo speciale, mentre invece era solo il cognome dei vecchi proprietari». C’era poi l’osteria di Gandolfi dove si trovava con l’amica e collaboratrice dei primi album Deborah Kooperman e con l’amico Alexandros Devetzoglou un cui brano sul violento colpo di stato dei colonnelli greci del 21 aprile 1967 chiude l’album. «La cantava in greco e in italiano, così l'ho cantata anch'io, col titolo di 21 aprile” racconta il Maestro, che propone il brano proprio nella versione bilingue.

E infine ecco la leggendaria Osteria delle Dame, da lui stesso fondata insieme al domenicano padre Michele Casali. «Ma le osterie erano posti tristissimi – smitizza oggi, forse non credendoci però fino in fondo -, frequentate da vecchi spesso alticci e con due sole categorie di vino: bianco e rosso. Ti davano anche un uovo sodo con sale e pepe. Tra noi studenti il tema che teneva banco nella seconda metà degli anni 60 era la guerra in Vietnam». Ma Guccini evoca qui oggi un’altra guerra, diventata tragica lo scorso 7 ottobre. Canzoni da osteria ospita infatti anche un canto della tradizione ebraica. «Scelto e selezionato prima che la guerra scoppiasse», precisa. La questione del conflitto in Medio Oriente il cantautore ammette di non averla mai approfondita, «anche se ho diversi amici di Medici senza Frontiere, in Israele, che mi parlavano dell’occupazione della Palestina».

Una cosa, però, appare certa: «La speranza di fraternità e di amicizia tra i due popoli si può sempre avere», dice. Senza dimenticare la sofferenza che la guerra porta. «Come nei talk show ci sono due fazioni opposte, due tifoserie che si urlano contro, dimenticando chi c’è in mezzo. E in mezzo ci sono le vittime», dice sconsolato. Guccini (fino al 26 novembre protagonista lungo via Dante a Milano dell’evento “Ma ho fatto anche il cantautore - Francesco Guccini: oltre il palco”) coglie l’occasione anche per ricordare l’amico di sempre Sergio Staino, scomparso poche settimane fa. Aveva creato un disegno, tempo fa, ispirato alla canzone del repertorio gucciniano Il vecchio e il bambino. «La tavola finiva col vecchio e il bambino che andavano di spalle verso un mondo migliore: il vecchio aveva sulla schiena la bandiera israeliana e il bambino quella palestinese», ricorda commosso. La sintesi del suo pensiero sulla guerra Guccini l’affida a una strofa della sua Auschwitz. Che recita: «Io chiedo quando sarà che l'uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare e il vento si poserà». «Può sembrare retorica, ma è così che la penso», conclude il cantautore.

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