giovedì 14 gennaio 2021
In “The art of political murder”, diretto da Paul Taylor, la storia del vescovo ucciso nel 1998 per avere denunciato abusi e assassinii dell'esercito e infangato dopo la morte da governo e media
Città del Guatemale, la protesta della gente per l’assassinio del vescovo Gerardi. L'immagine è tratta dal docufilm "The art of political murder"

Città del Guatemale, la protesta della gente per l’assassinio del vescovo Gerardi. L'immagine è tratta dal docufilm "The art of political murder" - Courtesy HBO

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Prima fase: preparazione e pianificazione minuziosa. Seconda fase: esecuzione. Ma c’è una terza fase che trasforma l’omicidio politico in un capolavoro: la perpetrazione dell’assassinio. Attraverso la garanzia dell’impunità per i colpevoli, con la corruzione e l’intimidazione di poliziotti, giudici, politici. E, soprattutto, mediante la sistematica distruzione della vittima, travolta dalla macchina del fango mediatica.

È stato nel lungo stadio post-esecuzione che l’uccisione di Juan Gerardi si è rivelata un crimine di particolare maestria. Di più. Il caso del vescovo ausiliare di Città del Guatemala, massacrato il 26 aprile 1998, «ha spalancato le porte alle campagne di disinformazione degli ultimi anni. Le false piste disseminate ad hoc nel corso delle indagini, le mezze verità e menzogne complete fatte circolare con insistenza, i dubbi capziosi trasformati in prove, sono degne delle più sofisticate fake news attuali. L’omicidio Gerardi è stato, dunque, un laboratorio di sperimentazione cruciale. Un modello per i "disinformatori" contemporanei. Per questo è importante che non sia dimenticato».

Parola di Paul Taylor, regista del pluripremiato We are together, sui piccoli sudafricani orfani dell’Aids. L’autore britannico ha stavolta deciso di narrare la vicenda Gerardi in The art of political murder (L’arte dell’omicidio politico), appena trasmesso in anteprima sulla Hbo e a breve in arrivo anche in Italia su Vice Tv Network. Il documentario – prodotto da George Clooney e Grant Heslov – si basa sull’omonimo libro di Francisco Goldman. Questo capolavoro di giornalismo narrativo, uscito per la prima volta nel 2009, è stato fondamentale per aiutare l’opinione pubblica a orientarsi nell’intricata selva dei depistaggi. «Perché l’unico modo per rispondere a una narrativa falsa e appassionante è una narrativa ugualmente appassionante ma vera», afferma Goldman che ha collaborato alla realizzazione del filmato e ne racconta significato e retroscena insieme a Taylor, entrambi collegati via Zoom.

«Che cosa c’è di più appassionante di esseri umani che, pur con tutti i loro limiti, hanno il coraggio di combattere fino in fondo per la giustizia?», aggiunge Taylor. Meno di 48 ore prima di essere massacrato nel garage della chiesa di San Sebastián, di cui era parroco, il vescovo Gerardi aveva presentato al mondo Guatemala nunca más, un’indagine senza precedenti sugli oltre trent’anni di guerra civile. Perché non si limitava a documentare la lunga serie di sparizioni, massacri, assassinii, torture, inflitte ai civili. Nelle sue 1.400 pagine, articolate in quattro volumi, il rapporto - curato da Gerardi e dal suo Progetto interdiocesano di recupero della memoria storica (Remhi) - denunciava le pesanti responsabilità dell’esercito in gran parte delle 50mila violazioni dei diritti umani descritte. Una verità scomoda per i militari che, in base agli accordi di pace del 1996, avevano ottenuto l’amnistia e conservato posizioni di potere.

La matrice politica dell’omicidio era, dunque, fin troppo evidente. Le indagini ufficiali, tuttavia, con l’aiuto di un articolato tam tam mediatico, seguirono le direzioni più improbabili. Si parlò di un delitto passionale a sfondo omosessuale o di una vendetta per la scoperta di un traffico di oggetti sacri. Si arrivò perfino ad accusare dell’assassinio un pastore tedesco. Tutto meno che citare Guatemala nunca más. Perfino prestigiosi quotidiani internazionali e il premio Nobel Mario Vargas Llosa si fecero sedurre dalle sirene della disinformazione.

Se la verità è potuta emergere nella sua potenza liberatrice è grazie al lavoro coraggioso, instancabile, controcorrente di un gruppo di uomini e donne che, fin dalla notte del delitto, si opposero all’operazione di insabbiamento. Oltre a Goldamn, ci sono "i ragazzi" dell’ufficio per i diritti umani della Chiesa prima guidato Gerardi (Odha) – Ronalth Ochaeta, Rodrigo Salvadó, Arturo Aguilar, Fernando Penados, Mynor Melgar – l’ex collaboratore Edgar Gutiérrez, l’attivista Helen Mack, la giornalista Claudia Méndez Arriaza, l’ex procuratore speciale Leopoldo Zeissig, l’investigatore privato Jack Palladino e il testimone Rubén Chanax. Sono loro i protagonisti del documentario di Taylor, in cui le immagini di repertorio si mescolano alle loro interviste e storie.

In un crescendo di tensione di 90 minuti si consumano minacce, pressioni, fughe all’estero di attivisti e magistrati. Fino al colpo di scena finale: la condanna del colonnello in pensione Byron Lima Estrada, di suo figlio nonché capitano Byron Lima Oliva, del soldato Obdulio Villanueva e del viceparroco Mario Orantes in qualità di complice. «Quella sentenza ha dimostrato che la battaglia contro la corruzione si poteva vincere. Che in Guatemala poteva esserci giustizia – conclude Goldam –. Certo, non tutti i colpevoli - gli alti vertici militari e politici che diedero l’ordine - sono finiti di fronte a un giudice. Ma il caso è stato uno spartiacque. Anche dopo la sua morte Gerardi ha dato un contributo fondamentale alla costruzione della democrazia in Guatemala».

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