giovedì 4 gennaio 2018
Il tecnico catalano è leader della Premier league e il suo Manchester City sta andando oltre i capolavori compiuti nelle stagioni al Barcellona
Pep Guardiola, lo stratega del pallone
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Ma se Josè Mourinho è lo “specialone” del calcio mondia-le, che cosa dovremmo dire di Pep Guardiola? Il Pep di Santpedor, catalano classe 1971, si conferma il massimo stratega del pianeta football, anche lassù nella perfida Albione: a Manchester, sponda City. Il geniale inventore del tiki-taka del Barcellona ha già in tasca il suo personalissimo 10° titolo nazionale (6 al Barcellona e 3 al Bayern Monaco) alla guida dei Citizens «padroni assoluti del gioco e del campo», come direbbe il nostro aedo Arrigo Sacchi. Il tutto, in una Premier in cui i maestri Mourinho (Manchester United) e Antonio Conte (Chelsea, campione in carica) sono relegati al ruolo di secondi e terzi incomodi. Il Pep colpisce ancora con la forza della tattica applicata alla tecnica sopraffina dei suoi seguaci. Era così al Barcellona della triade magica Iniesta-Xavi-Messi. Ora, la sua poetica del possesso palla e della geometria euclidea applicata al football, in english la “Pep way”, continua a mietere successi e soprattutto spettacolo per palati raffinati. I numeri sono impietosi, per gli avversari.

La macchina perfetta, iridescente, del “City lights” in questa stagione ha prodotto 18 vittorie (consecutive prima del pari con il Crystal Palace, a cui è seguito il 3-1 al Watford) e appena due pareggi. Il tiki-taka in salsa catalana nella piovosa Manchester scivola via sul green dell’Etihad Stadium come una pallina da flipper. Profeta del gol e fedelissimo alla maglia del City è il genero di “Eupalla” Maradona, Sergio Aguero. L’argentino è il valore aggiunto dello scacchiere del Pep con Sterling, Silva e il fantastico De Bruyne. Da questi piedi fatati sono arrivati 64 gol in campionato, grazie a un lavoro che prevede un possesso palla ai limiti della sopportazione altrui. Un 73% che manda in manicomio la squadra avversaria, alla quale da calcoli algebrici approfonditi, pare che rimangano appena 8 minuti a partita per tentare di attaccare e mettere in difficoltà i mostri del City. Gente che nel doppio confronto di Champions con il Napoli ha giocato almeno un’ora di calcio galattico, altro che il Real attuale.

L’alchemico Sarri, “mister 33 schemi” sulle palle inattive, si è dovuto arrendere a questa invincibile armata (una delle sette ancora imbattute nei tornei del Vecchio Continente) british del Pep che confeziona reti strappando palloni direttamente da centrocampo. Statistiche alla mano, il giochino del prendi e vai dalla metà campo è accaduto più di una dozzina di volte, con finalizzazione ovviamente vincente. Gli architetti di Guardiola, dalla difesa fino all’attacco, edificano trame lineari, logiche e razionali, con una media di oltre 730 passaggi ad ogni match. Ragnatele e diagonali numericamente superiori. Manifesta superiorità mal digerita da Mourinho che sull’altra sponda, United, è costretto a inseguire a 15 lunghezze la capolista che svetta a 62 punti. E sul computo dei passaggi i suoi Red Devils si devono accontentare di una pur ottima, quanto modesta, media di 497 pro-match. Mastica amaro anche Conte: lo scorso anno era re di Premier, ora a Natale è già fuori dalla lotta per il titolo. Il suo Chelsea, gelidamente a meno 17, staziona nella terza piazza, con un solo punto di vantaggio sul Liverpool di Salah.

L’ex attaccante romanista è u- na delle stelle di questa Premier, in cui però troneggia De Bruyne che per padre Pep «è il miglior giocatore al mondo... dopo Messi». Fantasia, ritmo e gioia di giocare, sono da sempre i tre comandamenti del “Guardiolismo”, la massima espressione della filosofia calcistica universale. Un uomo il Pep, che quando non allena vive di letture, di slan- ci di generosità profondi e mai sbandierati. Uno capace davvero di pensare che «chi sa solo di calcio non sa niente» (citazione di Mourinho) e per questo, dopo l’esperienza tedesca con il Bayern, si era concesso un anno sabbatico con tutta la famiglia a New York. Il Pep amante dell’Italia, dei musei, della spiaggia di Pescara, degli amici del Brescia e di sane degustazioni di vini in Franciacorta, è consapevole che il suo calcio champagne e sapienzialità può essere esportato anche sulla luna. Ma le radici, restano ben piantate sulla terra. E anche nell’attimo in cui alza al cielo una Champions, non dimentica che tutto è iniziato molto lontano dalle luci del City, ma da uno spogliatoio di provincia, e le prime lezioni di campo del sor Carletto Mazzone.

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