mercoledì 20 luglio 2011
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Di due suggestivi libri adelphiani di recente pubblicazione, colpisce la strana e imprevedibile attenzione di due scrittori tra loro diversissimi a proposito dello stesso, insolito argomento: i cimiteri. Parlo dei capitoli Riposo eterno di Il bene sia con voi! di Vasilij Grossman, e Campo santo di Le Alpi nel mare, in cui W.G. Sebald racconta il suo viaggio in Corsica (anche il libro di Grossman riferisce, nella sua ultima parte, di un viaggio, stavolta nell’Armenia ancora «socialista»). Sebald confronta il modo di curare i morti che era di una società contadina e pastorale con quello delle città contemporanee (scoprendo anche che l’istituzione dei cimiteri è ottocentesca e che prima, almeno in Corsica, i morti li si seppelliva vicino casa e i più poveri, prima delle fosse comuni dei cimiteri organizzati, li si buttava in mare). Riferisce di altri paesi e altri costumi, ne confronta i riti funebri e ne vede le somiglianze, dal banchetto funebre alla paura del ritorno dei morti, ne vede modi del compianto e del «consolo» che ci fanno tornare in mente la grandiosa analisi demartiniana di Morte e pianto rituale nel mondo antico, ma che dal mondo antico giungevano fino alla Basilicata del Novecento, centrata sulla «perdita della presenza» e la «crisi del cordoglio». La conclusione di questa partecipe investigazione di Sebald è che un tempo «nessuno risultava superfluo, nemmeno da morto».Ed è invero molto sconsolante la sua conclusione: presto «l’intero passato si dissolverà in una massa uniforme, irriconoscibile e muta». Il racconto di Grossman, del cui libro si è già efficacemente parlato su queste stesse pagine, e che contiene un testo ormai classico sulle vicissitudini del grande dipinto di Raffaello detto Madonna Sistina noto anche come La Madonna a Treblinka, riguarda un cimitero particolare: quello moscovita di Vagan’kovo, dove sono sepolte molte personalità della politica e della cultura russa dell’Ottocento e soprattutto del Novecento, del periodo sovietico. Questo capitolo  è un piccolo affresco di storia russa, perché «le tombe esprimono il carattere delle persone e il carattere dell’epoca», e per esempio «poche sono le lapidi di chi ha creduto nella comune mondiale» - e cioè nell’idea di un società socialista mondiale. Ma «a colpire è la somiglianza fra le tombe delle persone comuni» per le quali il tempo sembra non passare, i poveri restano poveri, le classi subalterne costrette a un pudore anonimo, a un «cambiamento impercettibile». La parte più interessante del testo di Grossman è quella che evoca l’attraversamento di un cimitero, che è spesso, non a ridosso della scomparsa di una persona cara, anche festoso (e si pensa alla festa che era il giorno dei morti nei cimiteri siciliani di più di mezzo secolo fa, quando si facevano dei veri e propri pic nic attorno alle tombe dei propri cari). Luogo di incontri e confronti con il passato e con l’eterno, il cimitero è anzitutto, per Grossman, un luogo di riconciliazione, di pacificazione con i propri defunti, un luogo in cui si dimenticano i torti subiti o fatti, e si idealizzano rapporti che spesso erano stati faticosi. Nei cimiteri domina il perdono, la tolleranza, e forse, lascia intendere Grossman, la funzione centrale dell’istituzione cimiteriale è proprio questa. Eppure la sua finale constatazione è che i fiori, «la pietra, la musica,  il pianto, le preghiere non sono in grado di trasmettere il mistero», ne sono un povero surrogato e «sono loro, la morte». La conclusione di Sebald non è molto diversa: «l’intero passato si dissolverà in una massa uniforme, irriconoscibile e muta. E muovendo da un presente immemore verso un futuro che l’intelligenza di nessun individuo riuscirà più a comprendere, alla fine anche noi lasceremo la vita, senza provare alcun bisogno di restarvi ancora per qualche istante almeno, o di potervi mai fare ritorno». L’anonimità della morte ci aspetta, ed è dunque ancora più necessario, sembrano dire sia Sebald che Grossman, dare alla vita il valore straordinario che essa ha, che è il solo modo per poter ridare dignità alla stessa morte e riconoscere il diritto ai morti di restare tra noi, la pratica coscienza della presenza dei morti in mezzo a noi, della comunione coi morti. (E penso a cosa avrebbe potuto scrivere Capitini di questi due testi, all’interno del suo grande saggio su La compresenza dei morti e dei viventi).
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